Congresso Eucaristico Nazionale:
giovedì
15/9/16 la Messa del card. Bagnasco
Da giovedì 15 a domenica 18
settembre 2016 si svolgerà a Genova il 26° Congresso
Eucaristico Nazionale.
L’Eucaristia sorgente della missione: «Nella tua Misericordia
a tutti sei
venuto incontro» è il tema attorno al quale si ritroveranno, nel capoluogo
ligure, delegazioni provenienti dalle diocesi di tutta Italia.
Alle ore 20.30 di giovedì 15
settembre avrà luogo, in piazza Matteotti,
la Santa Messa
di apertura del Congresso (diretta su Tv2000), che sarà
presieduta dal Cardinale Angelo
Bagnasco, Arcivescovo di Genova e Inviato
Speciale del Santo Padre per l’evento.
Il programma del giorno seguente,
nello spirito dell’Anno Giubilare, sarà caratterizzato
dalla visita dei
delegati a 46 luoghi simbolici, dove le 14 opere di misericordia spirituale
e
corporale vengono esercitate quotidianamente: carceri, ospedali, centri di
accoglienza
e di ascolto, scuole, mense per i poveri.
Particolarmente suggestivo si
annuncia l’appuntamento principale di sabato 17: a partire
dalle ore 16.45 si
svolgerà (con diretta su Tv2000) una solenne Adorazione Eucaristica
nella
cornice del Porto Antico. Il Ss.mo Sacramento sarà portato a bordo di una
motovedetta
della Capitaneria di Porto che nei mesi scorsi è stata impegnata in
missioni di soccorso
ai profughi.
La Santa Messa conclusiva, preceduta
dalla processione delle Confraternite italiane, si
svolgerà in piazzale Kennedy
alle ore 10.30 di domenica 18 (diretta su RaiUno e Tv2000) e
sarà presieduta
dal Cardinale Bagnasco. La Presidenza della CEI, per evidenziare lo stretto
legame tra l’Eucarestia e la carità vissuta, ha scelto proprio questa data
perché si tenga in
tutte le parrocchie italiane la Colletta Nazionale a beneficio
delle popolazioni colpite dal sisma
dello scorso 24 agosto.
Le giornate del Congresso
Eucaristico saranno segnate dall’alternarsi di proposte spirituali (tra
cui le
catechesi di 8 vescovi, celebrazioni penitenziali e l’adorazione eucaristica
notturna nella
chiesa di San Matteo) e culturali (visite guidate alla città).
Nelle due serate di venerdì 16 e
sabato 17 sono in programma rispettivamente un concerto presso
il Teatro Carlo
Felice e una serata in piazza Matteotti animata dai giovani delle diocesi liguri.
Due contributi:
- Documento teologico del Congresso
Nazione Eucaristico di Genova.
L’EUCARISTIA SORGENTE DELLA
MISSIONE: «Nella tua Misericordia a tutti sei venuto incontro»
XXVI CONGRESSO EUCARISTICO NAZIONALE
GENOVA 15-18 SETTEMBRE 2016
L’Eucaristia sorgente della
missione: «Nella tua misericordia a tutti sei venuto incontro». Tale importante
appuntamento si colloca all’interno dell’anno giubilare che papa Francesco ha
indetto per invitare i singoli e le comunità ad aprirsi in modo più convinto e
generoso al dono della misericordia di Dio, sorgente inesauribile di ogni
rinnovamento personale e comunitario. Come afferma il Santo Padre, infatti:
«Abbiamo sempre bisogno di contemplare il mistero della misericordia. È fonte
di gioia, di serenità e di pace. È condizione della nostra salvezza.
Misericordia: è la parola che rivela il mistero della SS. Trinità.
Misericordia: è l’atto ultimo e supremo con il quale Dio ci viene incontro.
Misericordia: è la legge fondamentale che abita nel cuore di ogni persona
quando guarda con occhi sinceri il fratello che incontra nel cammino della
vita. Misericordia: è la via che unisce Dio e l’uomo, perché apre il cuore alla
speranza di essere amati per sempre nonostante il limite del nostro peccato»
(FRANCESCO, Bolla di indizione del Giubileo straordinario della misericordia
Misericordiae vultus, 2). La gioia che promana dall’esperienza della
misericordia è l’aria benefica che in questo Giubileo siamo chiamati a
respirare profondamente, perché dia nuova freschezza alle nostre comunità e
nuovo slancio all’annuncio del Vangelo. Il Congresso Eucaristico è una tappa
importante per lasciarci afferrare da questo mistero, di cui l’Eucaristia è
l’attuazione più alta: in un modo che vuole essere insieme contemplativo e
operoso, vissuto nel raccoglimento della celebrazione ed espresso nell’apertura
verso il mondo, in termini di autentica testimonianza. Lo sguardo rivolto alla
misericordia di Dio è associato, infatti, al compito della missione ecclesiale,
di cui l’Eucaristia è sorgente, I N T R
O D U Z I O N E 6 come è espresso nel titolo del Congresso e come ha affermato
papa Francesco nell’esortazione apostolica Evangelii gaudium: «l’intimità della
Chiesa con Gesù è un’intimità itinerante» (FRANCESCO, Esortazione apostolica
Evangelii gaudium, 23). Anche san Giovanni Paolo II ricordava che la comunione
ecclesiale suscitata dall’Eucaristia si configura «essenzialmente come
comunione missionaria» (GIOVANNI PAOLO II, Esortazione apostolica postsinodale
Christifideles laici, 32). Infatti, «non possiamo accostarci alla Mensa
eucaristica senza lasciarci trascinare nel movimento della missione che,
prendendo avvio dal Cuore stesso di Dio, mira a raggiungere tutti gli uomini.
Pertanto, è parte costitutiva della forma eucaristica dell’esistenza cristiana
la tensione missionaria» (BENEDETTO XVI, Esortazione apostolica postsinodale
Sacramentum caritatis, 84). La stessa misericordia, che ci raduna nella santa
assemblea per celebrare gioiosamente il mistero pasquale di Cristo, ci spinge a
prendere l’iniziativa per andare agli incroci delle strade e invitare tutti al
suo banchetto (cf. Mt 22,9). Il senso del Congresso è dunque quello di farci
vivere una rinnovata esperienza di Dio che, per così dire, “esce” da sé stesso
per salvare l’uomo, e nell’Eucaristia fa di noi quella Chiesa “in uscita” che
più volte il Santo Padre ci invita a diventare (cf. EG 20-24). Per aiutare la
riflessione su queste dimensioni della vita ecclesiale viene proposto un
itinerario in quattro momenti, dedicati rispettivamente a (1) contemplare,
sulla scorta del testo della Preghiera eucaristica IV, la santità
misericordiosa di Dio che viene incontro a ogni uomo; (2) riscoprire la
ricchezza della celebrazione eucaristica per la vita della Chiesa; (3) indicare
alcuni aspetti del rapporto tra Eucaristia e trasformazione missionaria delle
nostre comunità; (4) individuare alcuni ambiti della vita sociale in cui
l’Eucaristia ci chiede una rinnovata testimonianza. 7 8 1 Ordinamento Generale
del Messale Romano, 78. 2 MESSALE ROMANO, Preghiera eucaristica IV, p. 411. A
PREGHIERA EUCARISTICA COSTITUISCE, all’interno della Messa, «il momento
centrale e culminante dell’intera celebrazione» 1. Il Messale Romano propone diverse
Preghiere eucaristiche, nelle quali l’unico mistero viene narrato con diversi
accenti e sottolineature: sono come delle “variazioni musicali” sul tema del
sacramento del Corpo e del Sangue del Signore. È importante dunque che tali
testi siano conosciuti e meditati, in modo che possiamo partecipare alla
liturgia con intelligenza spirituale e adesione del cuore. Nella nostra
riflessione ci soffermiamo su alcuni passi della Preghiera eucaristica IV,
poiché da essa è tratto il “motto” programmatico del Congresso. Tale preghiera
è come una grande sinfonia della fede, forma viva in cui il mistero
dell’incontro tra Dio e l’uomo, in Cristo e nello Spirito Santo, è espresso con
particolare bellezza di accenti. Eucaristia e santità misericordiosa del Padre
«È bello cantare la tua gloria, Padre santo, […]. Tu solo sei buono e fonte
della vita, e hai dato origine all’universo, per effondere il tuo amore su
tutte le creature e allietarle con gli splendori della tua luce»2. L’inizio
della preghiera ci eleva in alto, nell’orizzonte della luce e della lode: apre
l’anima e le dà ali. È lo spazio dell’infinito e dell’eterno, della bellezza e
dell’amore. Il cuore credente si scopre incantato, attirato da una presenza L
UNA SINFONIA DELLA FEDE: LA PREGHIERA EUCARISTICA IV 1 Capitolo 9 che sente
essere la sua casa perché corrisponde agli aneliti e ai desideri più profondi
dell’animo di ogni persona. Abitare questo spazio che è Dio stesso, è il nostro
destino e, particolarmente oggi, la nostalgia che ci salva dalla banalità del
male interiore. Dio viene cantato come luce d’amore che non resta chiusa in sé
stessa. Da essa, infatti, prende origine un movimento di grazia che s’irradia
sull’uomo e sull’universo intero nell’incarnazione del Figlio di Dio che salva
il mondo e nel dono dello Spirito Santo che feconda la vita: è il filo
conduttore di tutta la Preghiera. Inoltre, questa Preghiera eucaristica narra
la storia dell’appassionata ricerca dell’uomo da parte di Dio. In tale storia
entra, fin dagli inizi, anche il dramma del peccato, con cui l’umanità si
chiude al dono dell’alleanza. Quando l’uomo, per la sua disobbedienza, perde
l’amicizia con Dio, Egli non lo abbandona in potere della morte e dinanzi al
buio della colpa, il mistero infinito brilla nella luce soave della misericordia.
Così, rivolgendosi al Padre, la Preghiera IV modula questa commovente certezza,
affermando con stupore: «nella tua misericordia a tutti sei venuto incontro,
perché coloro che ti cercano ti possano trovare». A fronte del peccato, il
volto del Padre si manifesta come santità misericordiosa, capace di risollevare
l’uomo dalla sua miseria e di rigenerarlo nella sua dignità. L’onnipotenza di
Dio si rivela così nel gesto inaudito e sorprendente del perdono gratuito. Ecco
la redenzione! Contemplare la santità misericordiosa del Padre significa
trovarsi di fronte a un mistero abissale di amore, che eccede infinitamente la
nostra comprensione. La santità di Dio, infatti, è assoluta incompatibilità con
il male, mentre la misericordia si traduce in vicinanza al peccatore, fino a
compromettersi per lui. Tale mistero è pensabile solo nell’orizzonte della
fede, che, alla luce dell’incarnazione, illumina in modo inedito il volto
dell’onnipotenza divina. In una delle sue catechesi sul 10 3 BENEDETTO XVI,
Udienza generale, 30 gennaio 2013. 4 MESSALE ROMANO, Preghiera eucaristica IV,
p. 413. 1 Capitolo Credo, Benedetto XVI ha richiamato in modo illuminante
questo paradosso affermando: «Solo chi è davvero potente può sopportare il male
e mostrarsi compassionevole; solo chi è davvero potente può esercitare
pienamente la forza dell’amore. E Dio, a cui appartengono tutte le cose perché
tutto è stato fatto da Lui, rivela la sua forza amando tutto e tutti, in una
paziente attesa della conversione di noi uomini, che desidera avere come figli.
Dio aspetta la nostra conversione. […] L’onnipotenza dell’amore non è quella
del potere del mondo, ma è quella del dono totale, e Gesù, il Figlio di Dio,
rivela al mondo la vera onnipotenza del Padre dando la vita per noi
peccatori»3. Nell’Eucaristia la misericordia del Padre raggiunge la porta del
nostro cuore. È la forza di una luce che illumina ogni abisso e offre la
libertà «dalla corruzione del peccato e della morte». A questo Padre che mostra
la sua santità e onnipotenza «soprattutto con la misericordia e il perdono»
(«parcendo maxime et miserando», Colletta della Domenica XXVI del Tempo
Ordinario) è veramente giusto rendere grazie, orientando a Lui i nostri cuori.
E chi volge il cuore in alto, verso il Padre, saprà andare con misericordia
verso i fratelli, piegandosi in basso, come Gesù, per servirli. Eucaristia e
missione del Figlio Queste considerazioni ci hanno già introdotto al legame che
vi è tra la santità misericordiosa del Padre, che va incontro a ogni uomo, e la
missione del Figlio e dello Spirito, da cui sorge poi la missione della Chiesa.
Riprendendo il linguaggio del Vangelo di Giovanni, la Preghiera eucaristica IV
proclama: «Padre santo, hai tanto amato il mondo da mandare a noi, nella
pienezza dei tempi, il tuo unico Figlio come salvatore»4. Gesù è dunque
presentato come il volto storico della santità 11 misericordiosa del Padre,
come misericordiae vultus: «Con lo sguardo fisso su Gesù e il suo volto
misericordioso possiamo cogliere l’amore della SS. Trinità. La missione che
Gesù ha ricevuto dal Padre è stata quella di rivelare il mistero dell’amore
divino nella sua pienezza»5. Questa, infatti, è la sua missione: rendere
visibile e portare al mondo la misericordia di Dio, portare accanto a noi
miseri il cuore del Padre. Egli ci abbraccia con il suo perdono e ci trasforma
con la grazia del suo amore. Il Signore Gesù rivela tale misericordia con tutta
la sua esistenza, annunciando «ai poveri … il vangelo di salvezza, la libertà
ai prigionieri, agli afflitti la gioia», ma soprattutto con il gesto supremo
del sacrificio della Croce: «venuta l’ora d’essere glorificato da te, Padre
santo, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine»6.
Secondo il ricco commento di san Giovanni Paolo II in un’omelia del Giovedì Santo,
“sino alla fine” significa non solo sino alla morte, ma anche “oltre la morte”,
sino alla permanenza viva e attuale nel dono sacramentale: «L’ultima Cena ci
mostra che, per Gesù, “sino alla fine” significa al di là dell’ultimo respiro.
Al di là della morte. Tale è appunto il significato dell’Eucaristia. La morte
non è la sua fine, ma il suo inizio. […]. L’Eucaristia è frutto di questa
morte. La ricorda costantemente. La rinnova di continuo. La significa sempre.
La proclama. La morte, che è diventata inizio della nuova Venuta: dalla
Risurrezione alla Parusia, “finché egli venga”. La morte, che è “substrato” di
una nuova vita. Amare “sino alla fine” significa, dunque: per Cristo, amare
mediante la morte e oltre la barriera della morte: amare sino agli estremi
dell’Eucaristia!»7. In forza del sacramento del pane e del vino Gesù continua a
donare la sua vita per l’umanità: dona sé stesso. Che cosa saremmo senza la
vita di Dio che dall’Eucaristia fluisce in noi? Senza la sua luce che dà senso
all’e- 5 FRANCESCO, Bolla di indizione del Giubileo straordinario della
misericordia Misericordiae vultus, 8. 6 MESSALE ROMANO, Preghiera eucaristica
IV, p. 414. 7 GIOVANNI PAOLO II, Omelia della S. Messa “nella Cena del
Signore”, 12 aprile 1979. 1 Capitolo 12 8 Cf. GIOVANNI PAOLO II, Lettera
enciclica Ecclesia de Eucharistia, 23; BENEDETTO XVI, Esortazione apostolica
postsinodale Sacramentum caritatis, 13-14. 1 Capitolo sistenza e alla morte, al
presente e al futuro? Di fronte a questo mistero di amore, la ragione umana tocca
la sua finitezza e si apre allo stupore riconoscente e grato. «Fate questo in
memoria di me» (Lc 22,19) non è dunque un modo di dire commovente, il ricordo
di un passato lontano: ripresenta a noi – qui e ora – il sacrificio di Cristo
attuato una sola volta per tutte sul Calvario. Eucaristia e missione dello
Spirito Santo Lo Spirito Santo, dice ancora la Preghiera che stiamo
commentando, ci è dato «perché non viviamo più per noi stessi», ma per Colui
che è morto e risorto per noi. Lo Spirito Santo, dunque, ci decentra dal nostro
io, aprendoci all’amore di Dio e agli orizzonti universali del suo Regno. Egli
porta a compimento l’opera di Cristo compiendo ogni santificazione: è nella sua
potenza che si realizza l’Eucaristia, ed è nella sua potenza che si realizza
anche la Chiesa8. Per questo in ogni Preghiera eucaristica troviamo due
epiclesi, ossia due invocazioni allo Spirito Santo. La prima è sui doni, perché
divengano il Corpo e il Sangue del Signore; la seconda è sui fedeli, perché
«riuniti in un solo corpo dallo Spirito Santo, diventino offerta viva in
Cristo» a lode e gloria di Dio. Lo stesso Spirito che trasforma
sacramentalmente il pane e il vino, trasforma dunque anche noi, a immagine di
Cristo; lo Spirito che fa dell’Eucaristia la memoria sacramentale della Pasqua,
agisce nei credenti perché siano con tutta la loro esistenza un sacrificio
spirituale, ossia una memoria esistenziale del Signore, un luogo reale della
presenza dell’amore di Dio nel mondo, una goccia d’acqua nel calice della
volontà di Dio. Guidati dal testo di questa Preghiera eucaristica, vogliamo
dunque anche noi, in occasione di questo Con- 13 gresso Eucaristico nazionale,
innalzare a Dio un inno di lode. Insieme alle «schiere innumerevoli di angeli»,
fatti voce di ogni creatura vogliamo acclamarlo come Colui che è tre volte
Santo, il Signore Dio dell’universo che riempie con la sua gloria i cieli e la
terra. Vogliamo unirci alla liturgia del cielo, lasciarci attirare dentro il
movimento della sua grazia, e diventare – con Gesù – offerta gradita. «Nella
tua misericordia a tutti sei venuto incontro»9: queste parole, che la Preghiera
eucaristica dice di Dio, devono riflettersi nella Chiesa e in ognuno di noi. I
tratti del Padre Santo e Misericordioso devono divenire i lineamenti di coloro
che Cristo ha reso suoi figli. 9 MESSALE ROMANO, Preghiera eucaristica IV, p.
412. PER LA RIFLESSIONE DI GRUPPO n La nostra comunità valorizza adeguatamente
la ricchezza delle varie Preghiere eucaristiche presenti nel Messale Romano? Le
meditiamo qualche volta ricordando che la preghiera liturgica esprime e regola
la fede? n È viva nella nostra comunità la percezione della santità
misericordiosa di Dio? Il nostro stile celebrativo esprime umile adorazione e
filiale confidenza nei confronti del Padre oppure cede all’abitudine,alla
banalità superficiale, all’autocelebrazione,dove i protagonisti siamo noi
anziché Cristo? n Avvertiamo lo stretto legame che intercorre tra la
partecipazione all’Eucaristia e la partecipazione alla missione del Figlio per
opera dello Spirito Santo? Nella nostra comunità,l’Eucaristia genera una vera
spinta missionaria? Riconosciamo il rischio di una celebrazione che non ci apre
a condividere la fede,e di un attivismo esteriore che non è guidato dallo
Spirito del Risorto? 1 Capitolo 14 NA PIÙ PROFONDA COMPRENSIONE DELLA santità
misericordiosa di Dio, che è all’origine del dono eucaristico, può orientare
meglio la nostra vita liturgica. La celebrazione, infatti, è sempre esposta al
rischio di una chiusura ritualistica, che non dilata il cuore all’incontro con
Cristo, alla comunione e alla missione, o al pericolo della superficialità
creativa e personalistica, che non mette in contatto con Dio. Nel primo caso la
celebrazione si riduce a “cerimonia”: si rischia di essere attenti a molti dettagli,
nella ricerca di uno stile che appaghi la sensibilità personale o di un gruppo,
senza cogliere nei gesti liturgici la trasparenza del Mistero. Si assapora
l’esecuzione del rito, ma non la presenza viva di Cristo, cadendo così
nell’autocompiacimento; si cerca un’interiorità suggestiva, ma non si entra in
comunione con i fratelli, finendo in quell’individualismo religioso che è
totalmente estraneo alla logica del sacramento. Nel secondo caso, la
celebrazione si espone al rischio di un’animazione superficiale, in cui il
coinvolgimento dell’assemblea è frainteso in modo banale e diventa il pretesto
per giustificare scelte arbitrarie, gusti soggettivi, e uno stile spettacolare.
Il fascino della liturgia, però, non coincide con l’attrazione di uno spettacolo.
Nell’azione liturgica non siamo alla ricerca di espedienti per intrattenere, ma
dell’apertura orante e dell’obbedienza della fede. La liturgia non appartiene a
noi, ma alla Chiesa, è tesoro della Chiesa. Non possiamo mai dimenticare che il
vero Protagonista è Cristo, non noi, neppure il celebrante. U LASCIARSI
RAGGIUNGERE DAL MISTERO 2 Capitolo 15 Noi abbiamo la grazia di partecipare in
forza del sacerdozio battesimale (o comune) all’unico sacerdozio di Gesù,
offrendo noi stessi “per Lui, con Lui e in Lui”. Il sacramento e la
fede:incontrare Dio nel Corpo di Cristo Per una rinnovata pratica eucaristica,
è importante cogliere in modo più profondo il legame che vi è tra l’azione
liturgica e la vita di fede. A volte, infatti, si rischia di intendere la celebrazione
come se fosse un aspetto “ornamentale” della vita, che può arricchire la
devozione, ma non è davvero determinante per l’esistenza. Sotto questa
mentalità vi è l’idea che i comportamenti autentici sono solo quelli che
nascono spontanei. In questa logica, si fatica ad accogliere il carattere
normativo della liturgia, che segue dei canoni, non inventati da noi di volta
in volta. Una libertà ridotta a spontaneità è un’illusione e un equivoco che
non portano lontano. Tutte le grandi realizzazioni umane sono il frutto di una
disciplina assunta e assimilata interiormente, e ciò riguarda anche l’ambito
della fede. L’idea che l’esperienza di Dio possa avere la forma di una semplice
immediatezza, in cui basta chiudere gli occhi per incontrare un Dio a nostra disposizione,
pronto a offrirci qualche sensazione interiore che appaghi, è fuorviante. Si
nasconde in questa concezione il rischio, assai insidioso, di concepire la fede
come un rapporto individualistico con Dio che “scavalca” l’incontro con
l’umanità di Cristo. L’esperienza religiosa si riduce così a un contenuto
teorico o etico, che l’uomo tende a gestire a proprio piacimento. Ne viene
fuori una sorta di religione “psicologica”, che punta e si misura semplicemente
al “sentirsi bene” individuale. Si potrebbe dire che essa consiste in un
“cristianesimo senza Gesù”, un cristianesimo svuotato della sua natura di fatto
vivo, di incontro 16 10 FRANCESCO, Discorso ai partecipanti al V Convegno
Nazionale della Chiesa italiana (Firenze, 10 novembre 2015). 11 FRANCESCO,
Esortazione apostolica Evangelii gaudium, 94. 2 Capitolo personale con il
Signore Risorto, per essere ridotto a un contenitore di concetti, valori ed
emozioni. Non si tratta di un rischio solo di oggi: in un certo senso tutte le
epoche della Chiesa hanno dovuto confrontarsi con questo pericolo. In passato
tale pericolo ha riguardato soprattutto delle élite culturali, che erano alla
ricerca di una spiritualità raffinata. Così fu ad esempio nell’antichità lo
gnosticismo, che prendeva i contenuti della rivelazione cristiana e li staccava
dalla “carne” di Gesù: dall’Incarnazione, dai sacramenti, dalla Chiesa,
rendendoli così inconsistenti. Bisogna riconoscere però che oggi vari elementi
sembrano favorire un ritorno impressionante di questa tentazione come fenomeno
culturale di massa per l’Occidente. È come se l’Occidente, dopo essersi nutrito
del cristianesimo e averne attinto enormi ricchezze spirituali, volesse
respingerne il centro, che è la persona storica di Cristo, per trattenerne un
distillato evanescente: un cristianesimo ridotto a un insieme di valori etici
che si possono professare senza dogmi e senza appartenenze, concedendo a
ciascuno gli aggiustamenti che meglio gli si adattano. Recentemente,
rivolgendosi ai partecipanti al V Convegno della Chiesa in Italia, papa
Francesco ha messo in guardia da questa tentazione: lo gnosticismo «porta a
confidare nel ragionamento logico e chiaro, il quale però perde la tenerezza
della carne del fratello»10. Già in Evangelii gaudium aveva ricordato che il
fascino dello gnosticismo è quello di «una fede rinchiusa nel soggettivismo,
dove interessa unicamente una determinata esperienza o una serie di
ragionamenti e conoscenze che si ritiene possano confortare e illuminare, ma
dove il soggetto in definitiva rimane chiuso nell’immanenza della sua propria
ragione o dei suoi sentimenti»11. A fronte di questo pericolo, occorre
riscoprire la centralità insostituibile della celebrazione dell’Eucaristia,
come esperienza che ci riporta ogni volta al centro 17 della fede, facendoci
incontrare realmente Dio nel Corpo e nel Sangue di Cristo, donati nel
sacramento, e nella comunità ecclesiale. La celebrazione dell’Eucaristia,
infatti, è questione che riguarda la fede e le sue radici, e non solo la
“devozione” e le sue espressioni. Il rito e la vita:la centralità della
celebrazione La celebrazione – il rito cristiano – non si “aggiunge” alla vita,
come una sorta di ornamento, ma al contrario le dà forma, la plasma, le
consente di essere un cammino di salvezza. Il sacramento, infatti, è un
incontro reale con Cristo stesso; per questo, partecipando alla Santa Messa noi
ritroviamo la bussola e la forza per il nostro cammino, attingiamo al centro
vivo della nostra vocazione e missione. Benedetto XVI, illustrando il rapporto
tra Eucaristia e vita, aveva parlato di forma eucaristica della vita cristiana:
«Il nuovo culto cristiano abbraccia ogni aspetto dell’esistenza,
trasfigurandola: “Sia dunque che mangiate sia che beviate, sia che facciate
qualsiasi altra cosa, fate tutto per la gloria di Dio” (1 Cor 10,31). In ogni
atto della vita il cristiano è chiamato ad esprimere il vero culto a Dio. Da
qui prende forma la natura intrinsecamente eucaristica della vita cristiana. In
quanto coinvolge la realtà umana del credente nella sua concretezza quotidiana,
l’Eucaristia rende possibile, giorno dopo giorno, la progressiva
trasfigurazione dell’uomo chiamato per grazia ad essere ad immagine del Figlio
di Dio (cf. Rm 8,29s). Non c’è nulla di autenticamente umano – pensieri ed
affetti, parole ed opere – che non trovi nel sacramento dell’Eucaristia la
forma adeguata per essere vissuto in pienezza»12. Riprendendo un’immagine
diffusa si può dire che senza la grazia dell’Eucaristia la vita diventa un
vagabondare senza meta, un affondare nel tempo come un 12 BENEDETTO XVI,
Esortazione apostolica postsinodale Sacramentum caritatis, 71. 2 Capitolo 18 13
Cf. GIOVANNI PAOLO II, Lettera apostolica Dies Domini, 55-73; CEI, Nota
pastorale Il giorno del Signore, 15. 39. 14 Cf. GIOVANNI PAOLO II, Lettera
apostolica Dies Domini, 33. 2 Capitolo carro pesante nel fango del sentiero. La
domenica diventa un giorno come gli altri, mentre lo scorrere delle giornate è
riempito solo dai nostri programmi, che sono umani ma che si rivelano troppo
umani. A ciò si reagisce spesso con mille forme di distrazione, che sono come
una fuga dall’oppressione del quotidiano, alla ricerca di qualcosa di
“festivo”, che però risulta ingannevole se non è accompagnato da una vera
liberazione spirituale13. Quando invece si accoglie il dono della celebrazione
eucaristica, entrando anche nella disciplina ascetica che essa richiede (la
fedeltà, il raccoglimento, la condivisione...), si permette a Dio di abitare
nei nostri cuori e di trasfigurare la nostra esistenza «perché il mondo creda»
(Gv 17,21). La festa, che invano cerchiamo altrove, ci viene imbandita da Colui
che «nella sua misericordia a tutti viene incontro, perché coloro che lo
cercano lo possano trovare». Il tempo assume un volto nuovo, è rigenerato dalla
presenza del Risorto. La domenica appare realmente come un giorno santo, che dà
orientamento a tutta la settimana. Facciamo così l’esperienza che hanno fatto i
discepoli di Emmaus: l’incontro con Gesù risorto fa passare dallo
scoraggiamento e dall’amarezza alla gioia della Pasqua. Sulla strada di Emmaus
i due discepoli comprendono che la storia va vista con occhi diversi da come
loro la guardavano, poiché al centro della storia c’è il Signore. All’inizio
essi pensavano di aver compreso i fatti accaduti a Gerusalemme e consideravano
il misterioso viandante come uno straniero; ma grazie all’accoglienza della sua
parola giungono a capire che Lui è il centro da cui tutto va visto con occhi
nuovi. E il loro presente, prima così amaro, si trasforma, aprendosi a un
orizzonte colmo di speranza14. Questo ci dice che non possiamo mettere la Messa
domenicale tra le tante cose della settimana, come se fosse uno degli
appuntamenti in agenda. Essa non è 19 uno dei tanti impegni, un dovere in più
che abbiamo da compiere. Questa sarebbe un’insopportabile riduzione moralistica
del mistero eucaristico. L’Eucaristia è invece un appuntamento prezioso, è il
sacramento che ci introduce nella profondità del tempo, ce lo fa scoprire
impregnato della presenza divina, ci fa vedere gli altri come fratelli da amare
e servire. È festa! La cultura di oggi sta svuotando la domenica del suo
significato religioso originario: il “Giorno del Signore” si riduce a “fine
settimana”, a “week-end”15. Sembra diventato difficile fare festa perché la
festa chiede qualcosa di importante e bello da vivere e il bisogno di
celebrarlo gioiosamente insieme. La festa, per i cristiani, è Cristo risorto da
celebrare con gioia insieme alla comunità. «L’Eucaristia domenicale porta alla
festa tutta la grazia di Gesù Cristo: la sua presenza, il suo amore, il suo
sacrificio, il suo farci comunità, il suo stare con noi… E così ogni realtà
riceve il suo senso pieno: il lavoro, la famiglia, le gioie e le fatiche di
ogni giorno, anche la sofferenza e la morte; tutto viene trasfigurato dalla
grazia di Cristo»16. Proprio per questo, oltre a celebrare l’Eucaristia, siamo
invitati anche a sostare nelle nostre chiese per adorarla: nel silenzio della
contemplazione17, la presenza di Cristo ci porta nella profondità del nostro
presente, abitato dall’Eterno. Il pane del cammino: al seguito di Cristo, nuovo
Mosè Possiamo ancora approfondire il rapporto tra la celebrazione del
sacramento e il viaggio della vita riprendendo l’esperienza che il popolo di
Israele ha fatto nell’Esodo. Il cammino del popolo verso la libertà si dispiega,
infatti, tra la Cena rituale che inaugura gli eventi della liberazione (cf. Es
12) e la solenne cele- 15 Cf. GIOVANNI PAOLO II, Lettera apostolica Dies
Domini, 4. 16 FRANCESCO, Udienza generale, 12 agosto 2015. 17 Cf. BENEDETTO
XVI, Esortazione apostolica postsinodale Sacramentum caritatis, 66. 2 Capitolo
20 2 Capitolo brazione dell’Alleanza al Sinai (cf. Es 24). Attraverso il rito
dell’Alleanza, Israele è chiamato a riconoscere che il viaggio nel deserto non
è soltanto uno spostamento geografico verso una nuova terra e neppure soltanto
un cammino di liberazione sociale e politica, ma un’esperienza abitata e
condotta da Dio. È un camminare con Lui. È una scuola di fede perché la terra
promessa sia accolta per quello che è: uno spazio di vita in cui riconoscere i
doni del Signore e vivere nella gioiosa obbedienza ai suoi voleri. Questo nesso
tra il dono di Dio, la risposta di fede e la celebrazione è presente anche, e
in modo ancora più alto e profondo, nell’Eucaristia. La vera terra promessa a
cui siamo chiamati è l’intima comunione con Dio a cui Cristo ci guida
sostenendoci con il Pane della vita e la sua Parola di luce. E il viaggio che
l’antico Israele fece nel deserto è per noi il viaggio di fede: è questo il
deserto dove Gesù ci guida per insegnarci a vedere l’invisibile con gli occhi
dell’anima. Nella celebrazione Cristo si dona a noi e d’altra parte ci
interpella, ci chiede di consegnargli il viaggio della vita, perché il cammino
dietro di Lui, nuovo Mosè, sia realmente un esodo dalle nostre schiavitù alla
libertà dei figli di Dio. Il Salmo 127 (126) ricorda che «se il Signore non
costruisce la casa, invano si affaticano i costruttori». La celebrazione
eucaristica ci fa rivivere ogni volta questa esperienza. L’uomo che pretende di
fare di sé stesso il centro di tutto, fino a dimenticare l’azione di Dio nella
sua storia e a vivere come se egli non ci fosse, è destinato a conoscere solo
il «pane di fatica» di chi si sforza «invano». L’uomo che sa invece riconoscere
che le sue giornate sono attraversate dall’azione di Dio, riceve il pane che
Dio dà «al suo prediletto nel sonno». Il pane di cui l’uomo può vivere, quello
che sfama in profondità l’esistenza, non può essere solo frutto dei suoi
sforzi; il vero Pane della vita può essere solo un dono che si riceve: Gesù
stesso è il pane della vita disceso 21 dal cielo «che porta in sé ogni
dolcezza»18. Nell’Eucaristia riscopriamo, dunque, di essere poveri che vivono
di un dono gratuito, il quale non rende inutile il nostro impegno, ma lo rende
possibile e sensato. PER LA RIFLESSIONE DI GRUPPO n Come singoli e come
comunità cerchiamo di riconoscere nella vita la presenza del Signore Gesù? Come
possiamo aiutarci a vicenda in questo sguardo di fede e di obbedienza? n La
celebrazione è per noi un momento “ornamentale” o configura la nostra vita,dà
forma ai nostri pensieri e comportamenti? L’Eucaristia tende a diventare in noi
“forma” della vita cristiana? La celebrazione domenicale è uno tra i tanti
impegni della settimana o ci fa entrare nella festa della fede,trasforma il
nostro rapporto con il tempo,ci fa scoprire che il Risorto cammina con noi nel
quotidiano? Che cosa ci può aiutare concretamente a vivere la domenica come
esperienza comunitaria di apertura alla presenza del Risorto? n Il nostro modo
di celebrare l’Eucaristia ha il sapore di un’abitudine pigra,che non provoca
cambiamento,oppure è orientato a far sì che tutta la vita diventi un’offerta a
Dio,un viaggio illuminato dalla sua Parola e nutrito dal Pane del cielo? Le
nostre celebrazioni sono attente alla concretezza feriale
dell’esistenza,all’effettiva assimilazione della Parola da parte del popolo di
Dio? Ci conducono a presentare al Signore la gioia e la fatica di ogni giorno e
a vivere nel dono di noi stessi? 18 MESSALE ROMANO, XVIII Domenica del Tempo
Ordinario, Antifona alla comunione, p. 264. Cf. Liturgia Horarum, vol. III,
Sanctissimi Corporis et Sanguinis Christi, Ad Sextam, Responsorium breve, p.
499. 2 Capitolo 22 19 AGOSTINO DI IPPONA, Enarr. in Ps. 132, 6. 20 CEI,
Documento pastorale Eucaristia, comunione e comunità (1983), 38. 21 CEI, Nota
pastorale Il giorno del Signore, 13. Cf. anche GIOVANNI PAOLO II, Lettera
apostolica Dies Domini, 45; 69-73; CEI, Documento pastorale Eucaristia,
Comunione, Comunità (1983), 54-55; 72-74. A CHIESA – CHE, SECONDO SAN GIROLAMO,
è il “noi” dei cristiani – diventa segno trasparente della presenza di Gesù
nella storia, il riflesso di Cristo luce delle genti, come ricorda il Concilio
Vaticano II (cf. LG 1). Non è il frutto dell’umano stare insieme: questo sfocerebbe
in una unità psicologica. La Chiesa è la comunione dello Spirito Santo che
riunisce i figli dispersi: «molti corpi, ma non molti cuori»19. «Questo appare
con somma evidenza nell’Eucaristia, spazio totale di grazia, dono gratuito che
scende dall’alto»20. L’incontro eucaristico con la santità misericordiosa del
Padre, che ha mandato a noi il Figlio e lo Spirito per salvare il mondo, non
può che indurre le nostre comunità a realizzare quella «trasformazione
missionaria» a cui, con premurosa insistenza, papa Francesco ci esorta (cf. EG
20-49). «Quando l’assemblea si scioglie e si è rinviati alla vita, è tutta la
vita che deve diventare dono di sé. È anche questo un significato del
comandamento del Signore: “Fate questo in memoria di me”. Ogni cristiano che abbia
compreso il senso di ciò cui ha partecipato, si sentirà debitore verso ogni
fratello di ciò che ha ricevuto. “Andate ad annunziare ai miei fratelli” (Mt
28,10): la chiamata diventa missione, il dono diventa responsabilità, e chiede
di essere condiviso»21. Il senso di tale anelito apostolico non consiste in un
aumento delle attività da svolgere, ma piuttosto nello stile di testimonianza
di cui siamo debitori ai fratelli: dobbiamo cioè vivere le cose quotidiane con
spirito L L’EUCARISTIA E LA “TRASFORMAZIONE MISSIONARIA” DELLA CHIESA 3
Capitolo 23 missionario. Ciò aiuterà a evitare che la comunità sia una
«struttura prolissa separata dalla gente o un gruppo di eletti che guardano a
sé stessi»22 e ci preserverà dal pericolo di ingolfarci in una serie d’iniziative
che raggiungono e coinvolgono sempre e solo le stesse persone. Troppe volte
l’azione pastorale rischia di suggerire l’idea che la Chiesa è alimentata più
dal moltiplicarsi dei progetti e delle opere che dal Pane del cielo offerto da
Dio. Un tale attivismo è sintomo di quel «neopelagianesimo autoreferenziale e
prometeico»23 da cui ci ha messo in guardia papa Francesco: «Il pelagianesimo
ci porta ad avere fiducia nelle strutture, nelle organizzazioni, nelle
pianificazioni perfette perché astratte […]. La riforma della Chiesa poi – e la
Chiesa è semper reformanda – è aliena dal pelagianesimo. Essa non si esaurisce
nell’ennesimo piano per cambiare le strutture. Significa invece innestarsi e
radicarsi in Cristo lasciandosi condurre dallo Spirito»24. Occorre dunque
reagire restituendo il primato a ciò che è assolutamente necessario: la fede e
l’amore a Cristo e ai fratelli. L’Eucaristia costituisce a questo riguardo non
solo un punto di riferimento determinante ma la vera sorgente. Essa, infatti,
mette in risalto che la missione non è anzitutto un’attività nostra, da
moltiplicare a dismisura, per diffondere certe idee o valori, ma è il
realizzarsi in noi del movimento con cui Dio viene incontro a ogni uomo in
Cristo e nello Spirito Santo. La testimonianza della Chiesa nasce
dall’Eucaristia proprio perché la sua missione non è “altra” da quella di Gesù,
e neppure semplicemente “succede” o viene “dopo” la sua. Infatti, «la prima e
fondamentale missione che ci viene dai santi Misteri che celebriamo è di rendere
testimonianza con la nostra vita. Lo stupore per il dono che Dio ci ha fatto in
Cristo imprime alla nostra esistenza un dinamismo nuovo impegnandoci ad essere
testimoni del suo amore. Diveniamo testimoni quando, attraverso le nostre
azioni, parole e modo di essere, un Altro appa- 22 FRANCESCO, Esortazione
apostolica Evangelii gaudium, 28. 23 FRANCESCO, Esortazione apostolica
Evangelii gaudium, 94. 24 FRANCESCO, Discorso ai partecipanti al V Convegno
Nazionale della Chiesa italiana (Firenze, 10 novembre 2015). 24 25 BENEDETTO
XVI, Esortazione apostolica postsinodale Sacramentum caritatis, 85. 26
FRANCESCO, Discorso ai partecipanti al V Convegno Nazionale della Chiesa
italiana (Firenze, 10 novembre 2015). 3 Capitolo re e si comunica»25. Gesù non
è semplicemente un “contenuto” che noi dobbiamo annunciare, ma è il soggetto
permanente della missione. Egli ci assimila a Sé nel sacramento, perché la
nostra vita, animata dallo Spirito Santo, sia spazio in cui può comunicarsi la
potenza salvatrice del Signore. Dal mistero eucaristico, celebrato, adorato e
vissuto, la Chiesa trova continuamente il suo centro ed anche il suo vero stile
di vita con cui dare il proprio contributo decisivo alla vita buona di tutti
per costruire così in Gesù Cristo il “nuovo umanesimo”, di cui la nostra
società ha un forte bisogno. Nell’Eucaristia, infatti, impariamo ad
immedesimarci con i sentimenti che furono in Cristo Gesù (Fil 2,5). Come
ricordato recentemente da papa Francesco alla Chiesa che è in Italia, riunita
in Convegno a Firenze proprio sul tema del nuovo umanesimo, dal dono che Cristo
fa di sé stesso impariamo anche noi a donare la vita in umiltà, nella gratuità
(disinteresse) e nella gioia (beatitudine): «Se la Chiesa non assume i
sentimenti di Gesù, si disorienta, perde il senso. Se li assume, invece, sa
essere all’altezza della sua missione. I sentimenti di Gesù ci dicono che una
Chiesa che pensa a sé stessa e ai propri interessi sarebbe triste. Le
beatitudini, infine, sono lo specchio in cui guardarci, quello che ci permette di
sapere se stiamo camminando sul sentiero giusto»26. Nell’Eucaristia,
comunicando al corpo e al sangue del Signore, impariamo ad avere i suoi stessi
sentimenti. Il primato del kerygma Lo sguardo rivolto a Cristo, l’intima
comunione con Lui, è dunque la prima condizione per un’evangelizzazione
autentica, che non si lasci vincere da obiezioni e spegnere da difficoltà. La
testimonianza della gioia del 25 Vangelo si scontra quotidianamente con la
fatica dell’esistenza, ferita dalla povertà, dalla malattia, da numerosi
problemi materiali e spirituali che segnano la nostra umanità. In questi anni
di crisi economica, in particolare, è cresciuto anche nella nostra Italia un
generale senso di scoraggiamento e di sconforto, che tocca pure la comunità
ecclesiale. Il confronto quotidiano con quest’aspra realtà può condurre fino
alla sfiducia e al logoramento interiore delle forze o alla tentazione di
cercare vie di soluzione che non sono quelle suggerite dal Signore. Solo
l’esperienza personale del Risorto come sorgente da cui zampilla il
rinnovamento del mondo consente alla forza del Vangelo di vincere le nostre
paure. Quando il Risorto, nella conclusione del Vangelo di Matteo, annuncia
agli Undici che gli è stato dato ogni potere in cielo e in terra (Mt 28,18),
non lo fa certo per informarli su un suo successo personale, ma per trasmettere
loro – e attraverso di loro a ogni uomo – la più bella notizia della storia:
Egli ha vinto per noi. Questo è il cuore dell’annuncio cristiano, il kerygma,
il messaggio fondamentale, che siamo chiamati a testimoniare con la vita e la
parola. Poiché Gesù è risorto, noi tutti siamo chiamati ad abbandonare il mondo
vecchio, il mondo della corruzione e del peccato, della menzogna e del non
senso, per entrare nella creazione nuova, in quel nuovo habitat, di cui Gesù è
appunto Signore. È l’habitat del Regno di Dio, Regno di giustizia, di pace e di
amore, in cui si entra rivestendosi dell’uomo nuovo. La testimonianza dei
credenti deriva precisamente dall’aver scoperto nella propria vita questa beatitudine
del Regno, dall’aver sperimentato su di sé la signoria di amore di Cristo che
rinnova e trasforma. In questo senso bisogna recepire l’appello, che proviene
da molti passaggi della Evangelii gaudium, a tenere ben fermo e sempre presente
il primo annuncio 3 Capitolo 26 27 FRANCESCO, Esortazione apostolica Evangelii
gaudium, 164. 28 FRANCESCO, Esortazione apostolica Evangelii gaudium, 165. 29
Cf. CEI, Documento pastorale Evangelizzazione e sacramenti (1973), 48-51. 3
Capitolo della missione: l’evento di Gesù morto e risorto per noi. È questo il
fondamento di tutta la vita cristiana. Ogni altro aspetto della fede promana da
questo e solo per riferimento a questo viene compreso nel suo giusto senso.
Quando la bella notizia del Vangelo arde nel cuore, non si riesce a tenerla per
sé, si sente l’urgenza di comunicarla, di condividerla. Papa Francesco afferma:
«Quando diciamo che questo annuncio è “il primo”, ciò non significa che sta
all’inizio e dopo si dimentica o si sostituisce con altri contenuti che lo
superano. È il primo in senso qualitativo, perché è l’annuncio principale,
quello che si deve sempre tornare ad ascoltare in modi diversi e che si deve
sempre tornare ad annunciare durante la catechesi in una forma o nell’altra, in
tutte le sue tappe e i suoi momenti»27. Per questo «non si deve pensare che
nella catechesi il kerygma venga abbandonato a favore di una formazione che si
presupporrebbe essere più ‘solida’. Non c’è nulla di più solido, di più
profondo, di più sicuro, di più consistente e di più saggio di tale
annuncio»28. Il kerygma d’altra parte ha sempre un intimo rapporto con la
celebrazione sacramentale29. La sua piena accoglienza, infatti, ha inizio nel
Battesimo e si compie nell’Eucaristia, in cui l’ascolto della Parola che
annuncia la vittoria del Cristo Risorto diventa un’esperienza personale di
comunione con Lui. La dimensione comunitaria della missione La missione è un
evento che ha sempre carattere comunitario. Cristo Risorto dà il mandato
missionario agli Undici non come un incarico che ciascuno deve svolgere in modo
individuale, ma nella sua qualità di rappresentante del nuovo Popolo di Dio, di
cui gli Apostoli sono le colonne. Anche questo aspetto collega in- 27 timamente
la missione e l’Eucaristia. La condizione perché il Vangelo sia annunciato,
infatti, è che i discepoli siano uniti nella carità30. Come potrebbe, infatti,
l’amore di Dio essere testimoniato in un contesto di divisioni, di contese o di
protagonismi? Per questo, se vogliamo che l’Eucaristia imprima alle nostre
comunità un vero slancio missionario, è importante correggere l’individualismo
religioso che ci insidia. Troppe volte, infatti, l’Eucaristia rischia di essere
vissuta in modo privatistico, come se fosse puramente la risposta a un bisogno
individuale, se non addirittura come l’offerta a Dio di una nostra buona
pratica. Va così persa la dimensione più vera dell’assemblea liturgica, che non
è soltanto un raduno di individui, che agiscono in modo privato, ma è la
realizzazione visibile, in un luogo e in un tempo, del mistero della Chiesa: la
Chiesa è Chiesa proprio perché mandata, e l’assemblea liturgica è il primo
segno dell’azione del Risorto che ci convoca per inviarci. Il modo in cui una
comunità prende coscienza del proprio essere “assemblea” all’interno della liturgia
è decisivo per il suo modo di intendere e realizzare la missione. Infatti, «la
res del Sacramento eucaristico» è «l’unità dei fedeli nella comunione
ecclesiale. L’Eucaristia si mostra così alla radice della Chiesa come mistero
di comunione»31. In un testo preparatorio del Sinodo sulla nuova
evangelizzazione si affermava: «Il problema dell’infecondità
dell’evangelizzazione oggi, della catechesi nei tempi moderni, è un problema
ecclesiologico, che riguarda la capacità o meno della Chiesa di configurarsi
come reale comunità, come vera fraternità, come corpo e non come macchina o
azienda»32. Dall’individualismo spirituale può venire al massimo
un’organizzazione umana che propone una sorta di marketing religioso; una tale
organizzazione può certamente offrire diversi tipi di servizi assistenziali, ma
non testimonia la bellezza inconfondibile della grazia 30 Cf. CEI, Orientamenti
pastorali Evangelizzazione e testimonianza della carità (1990), 28. 31
BENEDETTO XVI, Esortazione apostolica postsinodale Sacramentum caritatis, 15.
32 SINODO DEI VESCOVI - XIII ASSEMBLEA GENERALE ORDINARIA, La nuova
evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana, Lineamenta, 2
febbraio 2011, n. 2. 3 Capitolo 28 33 Cf. CEI, Documento pastorale Comunione e
comunità missionaria (1989), 37-38; GIOVANNI PAOLO II, Lettera apostolica Dies
Domini, 69-73. 34 FRANCESCO, Esortazione apostolica Evangelii gaudium, 27. 3
Capitolo che ci salva. Occorre invece comprendere che nell’Eucaristia il Padre
ci compagina nell’unità del Corpo di Cristo, ci rende partecipi di un’unica
azione e un’unica vita ecclesiale. Una vera comunione intorno al Corpo del
Signore è dunque il primo momento e la condizione essenziale della missione:
dove non c’è comunione, non c’è evangelizzazione. Questa visione non può che
tradursi in scelte precise: pensare la celebrazione come momento di
convocazione della comunità è diverso dal proporla come “servizio religioso”
offerto ai singoli; intenderla e viverla come alimento della missione è diverso
dal concepirla come un momento chiuso in sé stesso, in un’inerzia ripetitiva
che non disturba. Andare incontro a tutti Una terza dimensione costitutiva
della missione cristiana è il fatto di indirizzarsi a ogni uomo, senza
esclusione33. Poiché Dio Padre nella sua misericordia viene incontro «a tutti»,
l’azione evangelizzatrice della Chiesa non può porsi confini ridotti. Questa è
probabilmente la sfida più grande per le nostre comunità, poiché implica un
vero cambio di mentalità e di prassi, che papa Francesco ha espresso con queste
parole: «Sogno una scelta missionaria capace di trasformare ogni cosa, perché
le consuetudini, gli stili, gli orari, il linguaggio e ogni struttura
ecclesiale diventino un canale adeguato per l’evangelizzazione del mondo
attuale, più che l’autopreservazione»34. Ciò implica di essere audaci e
creativi e di mettere in atto un vero cammino di discernimento, per andare
oltre la semplice amministrazione dell’esistente. Alla luce di tale
discernimento che necessariamente va fatto, tenendo conto delle situazioni
concrete, alcune proposte potranno apparire meno feconde e significa- 29 tive,
mentre sul ceppo dell’esperienza tramandata altre potranno sorgere, più fresche
e meglio mirate. Ogni comunità, in altre parole, ponendosi in ascolto della
Parola di Dio, docile allo Spirito Santo e nutrita dal Pane eucaristico, deve
chiedersi: come possiamo raggiungere in modo più incisivo le persone del nostro
quartiere, per portare a loro con coraggio e umiltà la gioia del Vangelo? Come
possiamo fare in modo che la celebrazione dell’Eucaristia coinvolga tutti
coloro che partecipano in questo movimento evangelizzatore, rendendoli
«discepoli missionari» (cf. EG 119-121)? Non possiamo essere destinatari
dell’amore con cui Dio esce da sé per venire incontro a ogni uomo, soprattutto
il più fragile e ferito, senza essere coinvolti in questo stesso movimento di
uscita. «Fuori c’è una moltitudine affamata e Gesù ci ripete senza sosta: ‘Voi
stessi date loro da mangiare’ (Mc 6,37)»35. L’attenzione ai più poveri,
l’accoglienza degli stranieri che bussano alle nostre porte, il contatto da
persona a persona nella ferialità della vita quotidiana, l’impegno per una
catechesi più incisiva, l’accompagnamento personale nella direzione spirituale,
una rinnovata presenza negli spazi della cultura e della politica, la
valorizzazione dei nuovi strumenti di comunicazione sono alcuni dei fronti su
cui lo Spirito ci condurrà a investire le nostre energie: non sognando «piani
apostolici espansionisti, meticolosi e ben disegnati, tipici dei generali sconfitti»36,
ma discernendo umilmente nel Signore il passo in avanti che è possibile oggi e
qui, con gioia e ottimismo, a partire dal punto in cui siamo. La comunità
“azienda” è sempre esposta al rischio della deriva efficientista e finisce
facilmente con l’impantanarsi in compromessi mondani, divenendo
autoreferenziale. Invece, la comunità che si lascia generare dall’Eucaristia sa
sempre trovare le strade giuste per la vera condivisione: quella che raggiunge
tutti e moltiplica la gioia. 35 FRANCESCO, Esortazione apostolica Evangelii
gaudium, 49. 36 FRANCESCO, Esortazione apostolica Evangelii gaudium, 96. 3
Capitolo 30 PER LA RIFLESSIONE DI GRUPPO n Come formarci sempre più ai
sentimenti di Cristo,imparando dal mistero eucaristico celebrato e
adorato,assumendo stili e sentimenti di umiltà,di gratuità e di letizia
nell’esercitare la missione evangelizzatrice cui siamo tutti chiamati? n Il
kerygma – l’annuncio che Gesù è il Signore – è al centro della nostra
testimonianza e ne orienta i contenuti e lo stile? Esso genera in noi una gioia
che vince le difficoltà della vita e le obiezioni della mentalità mondana,
facendoci testimoni luminosi del Risorto? Sappiamo far sperimentare ai nostri
fratelli che la vittoria pasquale di Cristo è la vera sorgente di una vita nuova?
I contenuti del nostro annuncio (nella catechesi, nella predicazione,nella
testimonianza personale) sono tutti illuminati dalla centralità del mistero
pasquale o sono temi isolati,proposti in modo arido? n Siamo capaci di
riconoscere l’individualismo religioso che ci insidia? La nostra comunità
ecclesiale ha realmente la forma di un’esperienza di fraternità o appare
piuttosto come un’azienda o un’agenzia di servizi, in cui si lavora con
impegno,ma senza comunione? Celebriamo l’Eucaristia come un servizio religioso
offerto ai singoli o come il sacramento che fa la Chiesa,convoca la comunità e
la invia in missione? n Viviamo una pastorale di conservazione o siamo
realmente impegnati ad andare incontro a tutti, cercando con umiltà e pazienza
chi è lontano? Abbiamo audacia e creatività pastorale? Siamo disponibili a quei
cambiamenti di orario, stile,consuetudini,linguaggio e strutture richiesti
dalla trasformazione missionaria della Chiesa, sollecitata da papa Francesco? 3
Capitolo 31 ELL’ULTIMA PARTE DELLA NOSTRA RIFLESSIONE veniamo a indicare alcuni
ambiti di particolare impegno in questo tempo di rinnovamento pastorale, con la
forza che proviene dall’Eucaristia. Teniamo conto del fatto che la società ha
bisogno di ricostruire un tessuto di comunione nel Paese, nel territorio, nelle
famiglie, nella scuola, nel mondo del lavoro, in ogni ambito dell’impegno
sociale. Tali spazi costituiscono dei luoghi privilegiati in cui dare forma
effettiva e sviluppo concreto al “nuovo umanesimo” fondato su Gesù Cristo. Se l’Eucaristia
è segno di contraddizione, tale deve essere la Chiesa in ogni campo, a
cominciare dai “nuovi poveri” che la società continua a produrre e poi ignora
ed emargina, e che sono un segno drammatico della crisi culturale e sociale in
atto. Indichiamo alcuni ambiti in modo sommario e puramente indicativo, per non
ripetere ciò che a loro riguardo è già stato scritto37. I legami familiari Un
primo ambito concerne i legami familiari, così duramente messi alla prova nella
nostra società, ma anche così tenaci nel rivelarsi risorsa fondamentale per
attraversare la dura crisi di questi anni. Tra l’Eucaristia, sacramento della
nuova alleanza in Cristo, e la famiglia esiste un legame molto profondo, che
forse attende ancora di essere meglio illustrato e assunto. Per un verso il
patto coniugale tra l’uomo e la donna costituisce, infatti, come una metafora
vivente dell’alleanza tra Dio e N 37 Cf. CEI, Orientamenti pastorali
Evangelizzazione e testimonianza della carità (1990), 28; Documento pastorale
Comunione e comunità missionaria (1989), 37-38; GIOVANNI PAOLO II, Lettera
apostolica Dies Domini, 69-73. CON IL DONO DI DIO INCONTRO ALL’UOMO DI OGGI 4
Capitolo 32 38 Cf. Os 2,16-22; Is 54,5-10; Is 62,1-5; Ef 5,21-33; 2Cor 11,2; Ap
21,2. 39 Cf. BENEDETTO XVI, Lettera enciclica Deus caritas est, 14. 40 GIOVANNI
PAOLO II, Lettera apostolica Mulieris dignitatem, 26. 41 Relazione Finale del
Sinodo dei Vescovi al Santo Padre Francesco (24 ottobre 2015), 11. 42 Relazione
Finale del Sinodo dei Vescovi al Santo Padre Francesco (24 ottobre 2015), 93.
Cf. anche 89-90. 4 Capitolo il suo popolo, che trova piena e definitiva
attuazione nella Pasqua di Gesù. Dio si compiace di farsi immaginare attraverso
ciò che uno sposo prova per la sua sposa: nella tenerezza del desiderio e nella
gioia dell’incontro, nella rabbia per il tradimento e nella mitezza del
perdono, nella tenacia della fedeltà e nella fecondità dell’amore38. Per altro
verso la comunione tra Cristo e la Chiesa significata e realizzata
dall’Eucaristia è la forma suprema di quell’amore (agape) cui gli sposi possono
attingere, per donarsi reciprocamente e formare in piena verità una sola carne.
Si tratta, infatti, di un amore oblativo, che porta a pienezza l’attrazione tra
l’uomo e la donna39. Il mistero eucaristico è mistero nuziale perché esprime
l’amore sponsale tra Cristo e la Chiesa: «Cristo è lo Sposo perché “ha dato sé
stesso”: il suo corpo è stato “dato”, il suo sangue è stato “versato” (cf. Lc
22, 19- 20)»40. Pertanto nell’Eucaristia gli sposi trovano il fondamento ultimo
della loro unione indissolubile. Davvero, come afferma l’apostolo Paolo,
«Questo mistero è grande: io lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa!»
(Ef 5,32). Il legame tra Eucaristia, matrimonio e famiglia ci fa comprendere la
raccomandazione emersa più volte nei recenti documenti sinodali di non
considerare la famiglia semplicemente come oggetto di cura pastorale ma come
«soggetto imprescindibile per l’evangelizzazione»41; la famiglia è davvero
chiamata ad essere soggetto dell’azione pastorale attraverso l’annuncio
esplicito del Vangelo e l’eredità di molteplici forme di testimonianza: la
solidarietà verso i poveri, l’apertura alla diversità delle persone, la
custodia del creato, la solidarietà morale e materiale verso le altre famiglie
soprattutto verso le più bisognose, l’impegno per la promozione del bene comune
anche mediante la trasformazione delle strutture sociali ingiuste, a partire
dal territorio nel quale si vive, la pratica delle opere di misericordia
corporale e spirituale42. 33 L’amore, nella sua ricchezza, è profondamente
radicato nella natura dell’uomo, conduce fuori da sé stessi, è totale e
definitivo. A questa radicale “impronta” che il Creatore ha lasciato nel cuore
umano, solo Cristo Gesù, con la sua grazia, può essere sostegno e risposta
piena. Nell’Eucaristia lo spazio dei legami del Padre e del Figlio e dello
Spirito sono offerti all’uomo e alla donna come luogo entro cui stabilire la
loro casa, fondata sulla roccia della Parola (cf. Mt 7,24-27) e cementata dalla
potenza della grazia, così da fare della vita familiare – piccola Chiesa – una
vera via alla santità. Santa Teresa di Lisieux, parlando della sua famiglia,
scriveva di essere nata «in una terra santa»43, e la terra santa erano i suoi
genitori. Di suo padre diceva: «Non avevo che da guardarlo per sapere come
pregano i Santi»44. La recente canonizzazione dei coniugi Martin può aiutarci
tutti a riscoprire che ogni famiglia, pur con le sue fatiche e difficoltà, deve
essere una terra santa, una terra che, con tutti i suoi limiti, è però abitata
da Dio. Tale prospettiva conduce anzitutto a rendere i legami coniugali più
intensi e profondi, e li protegge d’altra parte dal rischio
dell’assolutizzazione. Riconoscendo umilmente e gioiosamente il primato di Dio,
che li ha uniti, marito e moglie sapranno donarsi vicendevolmente senza fare
l’uno dell’altro il “messia” della propria vita, senza coltivare attese
irrealistiche e senza avanzare pretese possessive. Il rendimento di grazie
praticato nell’Eucaristia per il dono del Figlio fatto carne si estenderà
spontaneamente al rendimento di grazie per il coniuge e per i figli, per tutti
gli altri rapporti che ruotano intorno alla famiglia, riconoscendo in ogni
membro di questa piccola comunità di amore un dono sempre nuovo. La cura che
Dio si prende di noi, donandoci sé stesso, educherà a prendersi cura gli uni
degli altri, uscendo da ogni forma di ripiegamento egoistico su di sé, come
pure da ogni chiusura familistica nel difendere gli interessi dei “nostri” con-
43 TERESA DI LISIEUX, Manoscritto A, 11. 44 TERESA DI LISIEUX, Manoscritto A,
63. 4 Capitolo 34 4 Capitolo tro quelli degli altri. Questa visione conduce,
però, anche ad avere un grande rispetto e una delicata cura di quelle
situazioni in cui i legami sono feriti e l’alleanza coniugale ha conosciuto la
sofferenza del fallimento e della separazione. Il Dio che nella sua
misericordia non abbandona nessuno, ma a tutti viene incontro, aiuterà anche le
nostre comunità a trovare quelle forme di attenzione e di accompagnamento che
oggi sono più che mai necessarie perché nessuno si senta respinto dalla Chiesa.
Il Sinodo per la famiglia ci ha fornito indicazioni autorevoli e preziose,
rinnovando l’afflato pastorale e la sensibilità spirituale di tutti.
L’educazione Un secondo ambito è sicuramente quello dell’educazione, che la
Chiesa in Italia ha assunto come priorità per il decennio 2010-2020. Gli
Orientamenti pastorali dell’Episcopato italiano “Educare alla vita buona del
Vangelo” contengono un’analisi lucida delle sfide che oggi si pongono in ambito
educativo e offrono indicazioni efficaci per affrontarle. Senza riprendere qui
i contenuti là ampiamente esposti, è bene rilevare soltanto, alla luce del
mistero eucaristico, che l’educazione porta in sé un’intrinseca matrice
religiosa. La spiritualità non è in questo senso una sorta di vernice che si
aggiunge a un processo educativo: ogni ragazzo e giovane porta dentro di sé una
domanda che riguarda l’assoluto e osserva i suoi educatori, per vedere se nei
loro occhi risplende la gioia di chi ha visto e incontrato la grande Speranza
che può sostenere un’intera esistenza. La Chiesa in Italia ha una lunga e ricca
esperienza di impegno nel mondo dell’educazione. Molti santi l’hanno arricchita
con i loro carismi a favore della gioventù, 35 mostrando l’incidenza che una
pratica sacramentale semplice e profonda ha sulla vita dei giovani. San
Giovanni Bosco, che ha avuto uno sguardo lungimirante nel campo educativo e si
è impegnato a proporre ai suoi ragazzi il cortile per giocare, la scuola e il
laboratorio in cui apprendere la cultura e un mestiere, un ambiente in cui
sentirsi a casa e in famiglia, ha sempre considerato l’esperienza sacramentale
come fondamento e colonna di tutto il suo “sistema preventivo”. Al vescovo di
Liegi che era venuto a trovarlo a Torino, parlando dell’importanza della
comunione frequente per la formazione dei giovani, don Bosco ebbe a dire: «È là
il gran segreto!»45. Al di là delle mutate condizioni storiche e culturali,
dobbiamo chiederci se siamo ancora davvero convinti che l’incontro sacramentale
con Cristo costituisca il cardine intorno a cui costruire i nostri percorsi
educativi, perché non si riducano a essere vie di socializzazione o forme
d’istruzione religiosa, che però non conducono a quell’autentica esperienza di
Dio, cui il cuore dell’uomo, fin da quando è bambino, aspira. Non è solo
ipotetico il rischio che i nostri ragazzi ascoltino tanti discorsi sulla Messa,
ma poi non siano aiutati a viverla in modo intenso; ricevano tanta catechesi,
ma poca mistagogia, ossia poca introduzione vitale al mistero. Prima ancora
delle nostre parole o magari di qualche forma particolare di animazione
liturgica, essi hanno bisogno della genuinità della nostra vita eucaristica,
per prendere coscienza dell’immenso dono che Dio ci fa in questo sacramento.
Ambiente,ecologia integrale e lavoro Il terzo e ultimo ambito concerne
l’attenzione all’ambiente e quella che papa Francesco, nella sua recente
enciclica Laudato si’, ha chiamato ecologia integrale. Con riferimento al
mistero eucaristico, ciò che è parti- 45 E. CERIA, Memorie biografiche di S.
Giovanni Bosco, vol. XVIII, 438. 4 Capitolo 36 46 FRANCESCO, Lettera enciclica
Laudato si’, 236. 47 Compilazione di Assisi, 83 (FF 1615). 4 Capitolo
colarmente importante in questo ambito è riscoprire l’originaria dimensione
simbolica che rende il cosmo irriducibile a sola materia o peggio ancora a
materiale inerte a nostra disposizione. Papa Francesco ha ricordato che
«nell’Eucaristia il creato trova la sua maggiore elevazione. La grazia, che
tende a manifestarsi in modo sensibile, raggiunge un’espressione meravigliosa
quando Dio stesso, fatto uomo, arriva a farsi mangiare dalla sua creatura.[…]
Nell’Eucaristia è già realizzata la pienezza, ed è il centro vitale
dell’universo, il centro traboccante di amore e di vita inesauribile»46. In
questa prospettiva, l’Eucaristia ci introduce a guardare in modo nuovo tutta la
realtà creata; il mistero celebrato indica pertanto il destino ultimo di tutte
le cose, chiamate ad essere ricapitolate in Cristo Gesù (cf. Ef 1, 3-14; Col 1,
15-20), abilitandoci ad accogliere ogni cosa come segno dell’amore di Dio, con
senso di rispetto e di cura. San Francesco d’Assisi sapeva cogliere in modo
particolarmente intenso il legame che le realtà create hanno con l’uomo, il
modo in cui si affacciano alla sua coscienza, portandogli un messaggio che egli
deve ascoltare e riconoscere. Egli chiamava fratello e sorella il sole e
l’acqua, il fuoco e la terra, non per un semplice slancio emotivo e poetico, ma
per una profonda esperienza di fede, che lo faceva accostare a ogni creatura
come se la ricevesse in quel momento da Dio, come dono e compagnia. Prima di
comporre il Cantico, raccontano alcuni agiografi, il Poverello di Assisi ebbe a
dire: «Ogni giorno usiamo delle creature e senza di loro non possiamo vivere, e
in esse il genere umano molto offende il Creatore. E ogni giorno ci mostriamo
ingrati per questo grande beneficio […]»47. In una cultura che tende a
mercificare ogni cosa, perfino l’uomo e il suo corpo, con il rischio di una
vera e propria manipolazione della sua dignità, la rinnovata esperienza dello
stupore di fronte al cosmo e al suo 37 linguaggio costituisce un antidoto
essenziale. Se poi pensiamo che nell’Eucaristia il Corpo e il Sangue del
Signore ci sono dati nei segni sacramentali del pane e del vino, ci rendiamo
conto di quanto il creato faccia parte in modo essenziale dell’economia della
salvezza e di come siamo chiamati a custodirlo. Mentre infatti ci impegniamo
nello sviluppo tecnico della civiltà, non dobbiamo mai dimenticarci che siamo
cantori della creazione: «Il mondo è qualcosa di più che un problema da
risolvere, è un mistero gaudioso che contempliamo nella letizia e nella
lode»48. L’equilibrio interiore che deriva da questo rapporto con il creato
risulta illuminante, in particolare, per il modo di intendere il lavoro
dell’uomo. Se il cosmo è accostato solo come materia, il lavoro non è altro che
tecnica e produzione; se esso invece è accolto come dono e riconosciuto come
simbolo, il lavoro diviene espressione efficace della dignità umana, della
creatività e della capacità di destinare le cose alla comunione, al servizio,
alla condivisione. La dimensione spirituale del lavoro, per cui esso esprime la
dignità dell’uomo, diviene allora il punto da cui osservare tutte le dinamiche
economiche e sociali che ruotano intorno a esso. Il beato Paolo VI ha voluto
espressamente che nelle preghiere che accompagnano la presentazione dei doni
nella Messa si dicesse che essi sono frutto della terra e del lavoro dell’uomo.
Questa formula illustra in modo sintetico, ma assai ricco, che l’Eucaristia ha
a che fare con i doni della creazione e con il lavoro che li trasforma. In
questo modo il pane può divenire segno sacramentale del banchetto imbandito da
Dio. Realmente l’Eucaristia sa di cielo e sa di grano. Così bisogna che sia
anche il lavoro di ogni giorno: esso ha il sapore della fatica della terra, ma
deve poter avere anche il sapore dell’amore con cui lo facciamo, collaborando
con Dio al disegno immenso della creazione. 48 FRANCESCO, Lettera enciclica
Laudato si’, 12. 4 Capitolo 37 38 4 Capitolo PER LA RIFLESSIONE DI GRUPPO n
Nella nostra comunità quale attenzione viene prestata alla pastorale familiare?
L’impostazione delle iniziative è attenta ai ritmi, tempi e esigenze delle
famiglie? Cosa possiamo fare per rendere la celebrazione eucaristica domenicale
luogo in cui si alimentano e custodiscono i legami familiari? Il rendimento di
grazie e l’offerta del sacrificio che si vivono nella Messa in che modo si
traducono in una spiritualità feriale del ringraziamento e del dono di sé in
casa? n Siamo consapevoli che la spiritualità non è una sorta di vernice
nell’azione educativa, ma è l’energia profonda che guida e sostiene il processo
educativo? L’Eucaristia costituisce il perno della nostra proposta educativa o
è solo una tappa occasionale? I ragazzi della nostra comunità sentono solo
parlare dei sacramenti o sono realmente aiutati a viverli in modo intenso e
genuino? In che cosa consiste il nostro impegno di formazione delle giovani
generazioni attraverso la liturgia e alla liturgia? n In che modo è stata
recepita l’enciclica Laudato si’ nella nostra comunità? Sappiamo valorizzare la
dimensione cosmica dell’Eucaristia, educandoci a guardare al creato come dono e
a santificare il lavoro quotidiano? Possiamo impegnarci in qualche modo per
fare sì che nel contesto in cui viviamo il lavoro sia riconosciuto nella sua
dignità,secondo la dottrina sociale della Chiesa? L CONGRESSO EUCARISTICO A CUI
CI PREPARIAMO AVRÀ luogo nella città di Genova, una città carica di storia e
ricca di una grande tradizione cristiana. La sua forma aperta – un grande porto
sul mare, a cui sono approdate generazioni di naviganti e da cui sono partite
grandi imprese marinare – è quasi un’icona di ciò che la comunità ecclesiale è
chiamata a essere in forza dell’Eucaristia. Un porto è un luogo sicuro in cui
trovare accoglienza, un cantiere operoso in cui lavorare e una porta aperta
sugli spazi immensi del mare. Così nell’Eucaristia Dio ci accoglie nel suo
mistero, ci ospita al suo banchetto, ci nutre con il pane della vita, ma anche
ci invia con il fuoco dello Spirito a lavorare nella fucina del mondo, ci apre
a nuovi cammini del Vangelo, ci spinge al largo, come amava dire san Giovanni
Paolo II, introducendo la Chiesa nel Terzo Millennio: «Duc in altum, prendi il
largo» (Lettera apostolica Novo Millennio ineunte,1); questo invito, che Cristo
ha indirizzato al pescatore Pietro, continua a risuonare nelle nostre
Eucaristie come appello alla missione. Se nella sua misericordia Dio viene
incontro a ogni uomo, perché tutti coloro che lo cercano lo possano trovare,
anche noi dobbiamo uscire, avere il coraggio della missione, sapendo che Cristo
è con noi sulla barca. Con questo Congresso Eucaristico vogliamo dunque
ripartire da Genova, dal suo porto, per gettare le reti sulla Parola del
Signore, certi che l’obbedienza della fede sarà ripagata da una pesca
abbondante. La Madonna della Guardia, Vergine santissima e Madre di
misericordia, che ha suscitato intorno al suo santuario un grande movimento di
riforma popolare della fede, incoraggi il cammino delle nostre comunità
ecclesiali. Lei, stella del mare, ci conduca nel viaggio della vita, fino al
porto sicuro del cielo dove l’inno di ringraziamento, che qui leviamo
celebrando i divini misteri, sfocerà nell’abbraccio di Dio.