SANTI E BEATI DELL' ARCIDIOCESI E DELLA PROVINCIA DI PISA
Eravate a conoscenza che nella nostra Arcidiocesi di Pisa abbiamo ben 25 Beati e Santi e che il successore di S.Pietro Apostolo, il Papa Lino, è nato in Toscana ( molto probabilmente in provincia di Pisa : a Volterra) e sia diventato Santo?
Sulla scia della beatificazione di Giuseppe Toniolo penso sia importante riscoprire conoscere tutti questi nostri "illustri concittadini ".
I loro nominativi con una loro biografia essenziale e dei link di approfondimento saranno ordinati secondo la data in cui è celebrata la festa liturgica.
(Perciò, se siete interessati, ritornate via via a leggere questo post perchè sarà un lavoro un pò lungo che mi richiederà un pò di tempo per essere completato..).
Glossario
- Servo di Dio titolo dato ad un candidato alla santità la cui causa è ancora sotto inchiesta, prima della beatificazione.
-Venerabile il titolo viene dato ad una persona defunta che il papa riconosce ufficialmente come qualcuno che ha avuto una vita di virtù eroica.
-Beatificazione per essere beatificati ed essere riconosciuti “beati”, è necessario, oltre al riconoscimento della sua virtù eroica o del martirio, che ci sia stato un miracolo ottenuto grazie all’intercessione del candidato. La diocesi e la Congregazione per le cause dei santi conducono anche un’inchiesta rigorosa sulla vita e sugli scritti del candidato. Beato è un titolo che la Chiesa da ad una persona che è stata beatificata e che è consentito venerare in modo limitato(ad es. nella diocesi e/o nell'ordine religioso dove è vissuto).
-Santità o canonizzazione richiede un secondo miracolo dopo la beatificazione, anche se il papa ha il potere di sospendere tale requisito. (Non è necessario che ci sia un miracolo prima della beatificazione del candidato mentre invece è necessario un miracolo prima della canonizzazione). Canonizzazione è quindi il processo ufficiale secondo cui la Chiesa dichiara una persona santa e degna di essere venerata universalmente( in tutta la Chiesa)
-Congregazione per le Cause dei santi un dicastero della Curia Romana, che oltre a presentare raccomandazioni al papa per quanto riguarda le beatificazioni e le canonizzazioni, si occupa anche dell’autenticazione e della conservazione delle sacre reliquie.
-Miracolo un evento a cui si può assistere con i sensi ma che è in apparente contraddizione con le leggi della natura. La Chiesa riconosce i miracoli autentici come un intervento divino nel mondo sensibile.
-Attore la parte che dà inizio all’azione secondo il diritto canonico. Nel caso della causa di un santo, l’attore è chi chiede al vescovo di avviare l’inchiesta che potrebbe eventualmente portare alla canonizzazione. (Un vescovo può anche decidere di avviare una causa di sua iniziativa).
-Positio una sintesi comprensiva di tutta la documentazione; in questo contesto ce ne sono due: una che sintetizza l’inchiesta sulla vita e le virtù eroiche o sul martirio di un candidato e l’altra sui presunti miracoli. La positio viene preparata dal postulatore con l’aiuto di una persona esterna alla Congregazione delle cause dei santi.
-Postulatore persona designata a condurre e a seguire lo svolgimento della causa. Segue la causa a livello diocesano (Fase I); risiede a Roma e viene nominato dalla Congregazione per le Cause dei santi e segue tutti gli aspetti della Fase II e III.
-Vice-Postulatore viene nominato dal Postulatore; promuove la causa di canonizzazione del candidato. Ha il compito di seguire tutte le fasi dell’inchiesta del presunto miracolo nella curia ecclesiastica in cui esso ha avuto luogo. Il Vice-postulatore è dotato di facoltà necessarie per agire a nome del Postulatore nella curia ecclesiastica
Che cosa significa essere santi?
Significa essere uniti, in Cristo, a Dio, perfetto e Santo.
"Siate dunque perfetti come è perfetto il vostro Padre celeste" (Mt 5, 48), ci ordina Gesù Cristo, Figlio di Dio. "Sì, ciò che Dio vuole è la vostra santificazione" (1Ts 4, 3).
"Siate dunque perfetti come è perfetto il vostro Padre celeste" (Mt 5, 48), ci ordina Gesù Cristo, Figlio di Dio. "Sì, ciò che Dio vuole è la vostra santificazione" (1Ts 4, 3).
La santità di Dio è il principio, la fonte di ogni santità.
E per di più nel Battesimo, Egli ci fa partecipi della natura divina, adottandoci come figli suoi. E pertanto vuole che i suoi figli siano santi come è santo Lui.
Siamo tutti chiamati alla santità cristiana? Ogni uomo è chiamato alla santità, che "è pienezza della vita cristiana e perfezione della carità, e si attua nell 'unione intima con Cristo, e, in lui, con la Santissima Trinità. Il cammino di santificazione del cristiano, dopo essere passato attraverso la Croce, avrà il suo compimento nella Risurrezione finale dei giusti, nella quale Dio sarà tutto in tutte le cose" (Compendio del CCC, 428).
Come è possibile diventare santi?
- Il cristiano è già santo, in virtù del Battesimo: la santità è inscindibilmente legata alla dignità battesimale di ogni cristiano. Nell'acqua del Battesimo infatti siamo stati "lavati [...], santificati [...], giustificati nel nome del Signore Gesù Cristo e nello Spirito del nostro Dio" (1Cor 6, 11); siamo stati fatti veramente figli di Dio e compartecipi della natura divina, e perciò realmente santi.
- E proprio perché siamo santi sacramentalmente (ontologicamente - sul piano cioè del nostro essere cristiani), è necessario che diventiamo santi anche moralmente, e cioè nel nostro pensare, parlare e agire durante ogni giorno, ogni momento della nostra vita. Ci ammonisce. l'Apostolo Paolo a vivere "come si conviene ai santi" (Ef 5, 3), a rivestirci "come si conviene a eletti di Dio, santi e prediletti, di sentimenti di misericordia, di bontà, di umiltà, di dolcezza e di pazienza" (Col 3, 12).
Dobbiamo con l'aiuto di Dio, mantenere, manifestare e perfezionare con la nostra vita la santità che abbiamo ricevuto nel Battesimo: Diventa ciò che sei, ecco l'impegno di ciascuno. - Questo impegno lo si può realizzare, imitando Gesù Cristo: via, verità e vita; modello, autore e perfezionatore di ogni santità. Lui è la via della santità. Siamo dunque sollecitati a seguire il Suo esempio e diventare conformi alla Sua immagine, in tutto obbedienti, come Lui, alla volontà del Padre; ad avere gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù, il quale "spogliò se stesso, prendendo la natura di un servo [...] facendosi obbediente fino alla morte" (Fil 2, 7-8), e per noi "da ricco che era si fece povero" (2 Cor 8, 9).
- L'imitazione di Cristo, e quindi il diventare santi, sono resi possibili dalla presenza in noi dello Spirito Santo, che è l'anima della multiforme santità della Chiesa e di ogni cristiano. E' infatti lo Spirito Santo, che ci muove internamente ad amare Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima, con tutta la mente, con tutte le forze (cfr. Mc 12, 30), e ad amarci a vicenda come Cristo ci ha amato (cfr. Gv 13, 34).
Ogni fedele è aiutato nel suo cammino di santità dalla grazia sacramentale, donata da Cristo e propria di ciascun Sacramento.
Esistono vari modi e forme di santità? Certamente. Ognuno può e deve diventare santo secondo i propri doni e uffici, nelle condizioni, nei doveri o circostanze che sono quelle della propria vita.
Le vie della santità sono pertanto molteplici, e adatte alla vocazione di ciascuno. Tanti cristiani, e tra loro molti laici, si sono santificati nelle condizioni più ordinarie della vita.
Perché la Chiesa proclama Santi alcuni suoi figli?
"Canonizzando alcuni fedeli, ossia proclamando solennemente che tali fedeli hanno praticato in modo eroico le virtù e sono vissuti nella fedeltà alla grazia di Dio, la Chiesa riconosce la potenza dello Spirito di santità che è in lei, e sostiene la speranza dei fedeli offrendo loro i Santi quali modelli e intercessori" (CCC, 828).La Chiesa, fin dagli inizi, ha sempre creduto che gli Apostoli e i Martiri siano con noi strettamente uniti in Cristo, li ha celebrati con particolare venerazione insieme con la Beata Vergine Maria e i Santi Angeli, e ha implorato piamente l'aiuto della loro intercessione. E lungo i secoli, ha sempre offerto all'imitazione dei fedeli, alla venerazione e all'invocazione alcuni uomini e donne, insigni per lo splendore della carità e di tutte le altre virtù evangeliche.
Che differenza esiste tra Beati e Santi?
- Quanto alla certezza che sia gli uni sia gli altri siano in Paradiso, non c'è tra loro alcuna differenza.
- Quanto alla procedura: normalmente prima un cristiano viene proclamato beato (beatificazione), e poi, successivamente ed eventualmente, viene proclamato santo (canonizzazione).
- Quanto all'autorità impegnata nel dichiarare uno beato oppure santo: è sempre il Papa che, con un atto specifico pontificio, dichiara uno beato o santo.
- Quanto al culto:
- le beatificazioni hanno un culto permissivo e non prescrittivo, limitato a una Chiesa (Diocesi) o Congregazione particolare. Senza un permesso della Santa Sede, i beati non possono essere eletti patroni, né essere titolari di una chiesa o cappella, né ad essi si può consacrare un altare, né la loro festa può essere inclusa nel calendario della Diocesi o della Nazione. Possono essere dipinti con aureola, ma non con il diadema proprio dei santi;
- le canonizzazioni hanno un culto esteso a tutta la Chiesa, prescrittivo, con una sentenza definitiva. Ad essi si possono dedicare chiese e altari, possono essere eletti come Patroni, le loro reliquie possono essere venerate in tutte le chiese.
Come la Chiesa giunge alla canonizzazione?
- FASE DIOCESANA:
- Chiunque può richiedere al Vescovo della diocesi, dove è morto il Servo di Dio, di avviare una causa di canonizzazione. I Santi e la santità sono riconosciuti, pertanto, come un movimento dal basso verso l'alto. Ancora oggi, è il popolo cristiano stesso infatti che, riconoscendo per intuito della fede la "fama di santità", segnala i candidati alla canonizzazione al proprio Vescovo, che successivamente invia le prove raccolte al Dicastero della Santa Sede competente, la Congregazione delle Cause dei Santi. Una causa non può essere iniziata se non consta, mediante prove inconfutabili, che il servo di Dio al quale si riferisce la causa in questione è in concetto di santità o di martirio presso una parte consistente dei fedeli.
- Il Vescovo, su istanza del Postulatore e previo permesso della Santa Sede, avvia il procedimento, non prima, normalmente, di cinque anni dalla morte del fedele. Al Vescovo compete il diritto di raccogliere le prove circa la vita, le virtù o il martirio, i miracoli asseriti, e, se è il caso, l'antico culto del Servo di Dio, del quale viene chiesta la canonizzazione. Per fare questo, il Vescovo ricorre all'aiuto di vari esperti, i quali, dopo aver investigato scritti e documenti, e interrogato testimoni, esprimono un giudizio circa la loro autenticità e il loro valore, come pure circa la personalità del Servo di Dio.
Il Vescovo in particolare deve verificare che:- questa fama sanctitatis o de martirio sia ben fondata, spontanea (non procurata artificiosamente, ad esempio dai mass media), stabile, continua, diffusa tra persone degne di fede, estesa tra una parte significativa del popolo di Dio;
- le norme vigenti per l'istruzione diocesana di una causa di beatificazione e canonizzazione siano applicate con molta attenzione;
- nella raccolta delle prove nulla venga omesso di quanto in qualunque modo abbia attinenza con la causa, tenendo per certo che il felice esito della causa stessa dipende in gran parte dalla sua buona istruzione.
- Se il Vescovo ritiene che la causa contiene elementi fondati, allora nomina un Tribunale (Giudice, Promotore di giustizia e Notaio), che interroga i testimoni e riceve da una Commissione storica tutta la documentazione riguardante la vita, le virtù e la fama di santitàdel Servo di Dio.
- FASE PONTIFICIA:
- Terminate le indagini a livello diocesano, si trasmettono tutti gli atti in duplice copia alla Santa Sede, e precisamente alla Congregazione dei Santi, che esamina gli atti stessi:
- sotto l'aspetto formale (per verificare se gli atti sono validi e autentici) e;
- sotto l'aspetto di merito (per accertare se le virtù sono provate).
- Alla fine la suddetta Congregazione pronunzia la sua valutazione sia sulle virtù sia sui miracoli.
- Terminate le indagini a livello diocesano, si trasmettono tutti gli atti in duplice copia alla Santa Sede, e precisamente alla Congregazione dei Santi, che esamina gli atti stessi:
- Viene preparata anzitutto la Positio, che è l'insieme degli atti processuali e degli atti documentali, la quale dovrà essere sottoposta all'esame dei Consultori esperti specifici della materia, perché esprimano il voto sul suo valore scientifico.
- La Positio (con i voti scritti dei Consultori storici e con gli ulteriori chiarimenti del Relatore, se saranno necessari) sarà esaminata dai Consultori teologi, i quali, insieme al Promotor fidei, esprimono il loro parere sull'eroicità delle virtù del Servo di Dio e preparano una propria relazione finale, da sottoporre, insieme alla Positio, al giudizio dei Cardinali e dei Vescovi, Membri della Congregazione dei Santi.
Il concetto di eroicità delle virtù non implica, necessariamente, che le azioni compiute dalla persona virtuosa debbano essere eclatanti. "L'eroicità - ha spiegato il Card. Josè Saraiva Martins, Prefetto della Congregazione dei Santi - può benissimo consistere nel compiere in modo straordinariamente generoso e perfetto i propri doveri quotidiani verso Dio, verso il prossimo e verso se stessi. La vita ordinaria di ogni giorno è il luogo più comune per raggiungere le più alte vette della santità" (Discorso del 2003).
Serve anche un miracolo? Per poter procedere alla beatificazione di un Servo di Dio, l'attuale legislazione canonica richiede anche un miracolo, realizzatosi per intercessione di quel Servo di Dio dopo la sua morte.
Per la beatificazione di un Martire non si richiede il miracolo, in quanto lo stesso martirio, subìto per amore di Dio, è un segno non equivoco della vita virtuosa di un Servo di Dio.
Per la canonizzazione invece dei martiri e dei non-martiri occorre un nuovo miracolo, avvenuto dopo la beatificazione.
Perché sono necessari i miracoli?
Non bisogna dimenticare che scopo ultimo della venerazione dei santi è la gloria di Dio e la santificazione dell'uomo attraverso una vita pienamente conforme alla volontà divina e l'imitazione delle virtù di coloro che furono eminenti discepoli del Signore.
- C'è una ragione storica: da sempre la Chiesa ha chiesto dei 'segni' a conferma della vita virtuosa di un cristiano.
- C'è soprattutto una ragione teologica: i miracoli sono necessari per:
- confermare la dottrina e la fede del Servo di Dio;
- per garantire il giudizio sull'eroicità delle sue virtù;
- per provare che la vita di un non martire non sia stata in segreto laxior (e cioè meno santa) rispetto a quanto risulta dalle testimonianze.
- I miracoli sono studiati sotto due aspetti:
- quello scientifico: per provare che l'evento prodigioso (la guarigione), sulla base delle testimonianze e la documentazione medica, è inspiegabile;
- quello teologico: per verificare se l'evento prodigioso si connota di preternaturalità, cioè se è un vero e proprio miracolo.
- Spetta anzitutto al Vescovo, ove è avvenuto l'evento prodigioso, far studiare il miracolo da un Tribunale, che deve raccogliere le prove testimoniali e medico-cliniche.
- Poi il Vescovo invia gli atti di detto Tribunale alla Congregazione delle Cause dei Santi, la quale li studia sia sotto il profilo procedurale (per accertare la validità di tali atti) sia soprattutto sul merito. A tal fine:
- gli atti vengono prima esaminati da due periti medici individualmente, e poi da un organo collegiale di cinque medici, i quali raccolgono le loro conclusioni (diagnosi, prognosi, terapia, modalità di guarigione inspiegabile da un punto di vista medico...) in una relazione;
- viene quindi preparata una Positio (con tutti gli atti diocesani e la relazione dei medici) che viene esaminata dai teologi, i quali emetteranno un parere sulla pretematuralità del fatto;
- infine la stessa Positio, la relazione dei medici e i pareri dei teologi vengono sottoposti al giudizio dei Padri (Cardinali e Vescovi) della Congregazione dei Santi, i quali valuteranno se il fatto prodigioso è un miracolo oppure no.
- Il giudizio dei Padri Cardinali e Vescovi, sia sull'eroicità delle virtù sia sul miracolo, viene riferito, dal Cardo Prefetto della Congregazione dei Santi, al Sommo Pontefice, al quale solo compete il diritto di dichiarare, con un solenne atto, che si può procedere alla beatificazione o alla canonizzazione di un cristiano e quindi al culto pubblico ecclesiastico, a lui dovuto.
SANTI E BEATI PISANI
* BEATA CRISTIANA MENABUOI. 1237-1310 (festa 4 gennaio) Patrona di Santa Croce sull'Arno. Battezzata con il nome di Oringa nasce a S.Croce sull'Arno. Sin da piccina nutre interesse per la vita religiosa e la preghiera; non vuole sposarsi.Ad Assisi ha una visione in cui il Signore gli chiede di fondare una casa religiosa nel suo paese nativo.Fonda così un monastero sotto la regola di S.Agostino a S.Croce sull'Arno nel Natale del 1279. Approfondisci.. /// LEGGI TUTTO...
Beata Cristiana da Santa Croce (Oringa Menabuoi) Vergine
|
Santa Croce sull'Arno, Pisa, 1240 - Firenze, 4 gennaio 1310
Battezzata con il nome di Oringa nacque a Santa Croce sull'Arno tra il 1237 e il 1240 in una famiglia di umili condizioni. Fin dall'infanzia cominciò a manifestare interesse verso la vita religiosa e la preghiera, che curava con particolare dedizione mentre era sola per badare alle pecore. Preferì dedicarsi al Signore e non volle sposarsi nonostante le pressioni dei familiari. Trasferita a Lucca si procurava vitto e vesti servendo come domestica. Nel 1265 intraprese un pellegrinaggio al santuario di San Michele al Gargano e a Roma aveva fatto voto di visitare i corpi dei martiri fino alla morte. Fu in questo periodo che venne chiamata con il nome di Cristiana. Ad Assisi il Signore le mostrò in visione la fondazione di una casa religiosa nel suo paese natio. Ottenuta una costruzione dal Comune, il 24 dicembre 1279 vi si rinchiuse con alcune compagne, dando inizio al monastero di Santa Maria Novella, posto dalla fondatrice sotto la regola di sant'Agostino e canonicamente riconosciuto nel 1296. Colpita da grave infermità, Cristiana morì il 4 gennaio 1310. (Avvenire)
Martirologio Romano: A Santa Croce in Val d’Arno in Toscana, beata Cristiana (Oringa) Menabuoi, vergine, che fondò un monastero sotto la regola di sant’Agostino.
|
La beata Cristiana Menabuoi, sebbene vissuta in un contesto storico-sociale lontano nel tempo, quando la santità si manifestava in particolare con i pellegrinaggi e con l’esperienza monacale, può anche oggi essere d’esempio, per quanti, volendo vivere con coerenza il proprio credo, vanno controcorrente. Oringa fu una donna coraggiosa, seguì la “via stretta” del Vangelo senza paura, nelle varie forme di vita che via via poté mettere in pratica.
In un’umile famiglia di S. Croce sull’Arno, poco lontano da Pisa, all’epoca però diocesi di Lucca, Oringa nacque nel 1240. Presto orfana di madre, il padre Sabatino nutrì per lei un particolare affetto. Fin dalla tenera età la giovane volle mantenere candida la sua anima. Mettendo in pratica i precetti evangelici della carità, nel piccolo borgo natio ebbe modo di apprendere, grazie ad alcuni sacerdoti, i fondamenti della fede e la sostanza della Sacre Scritture. Verso i dieci anni cadde gravemente ammalata e fu costretta a stare lungamente a letto. Il suo paese era guelfo, fedele al papa e alla Chiesa, sentimenti che la giovane fece propri senza la contaminazione politica che, ai tempi, era causa di lotte cruente. Molto popolare era il movimento francescano il cui influsso Oringa unì alla devozione verso l’Arcangelo Michele. Non ricevette alcuna istruzione, come era normale ai tempi e fu posta dai fratelli a guardia del bestiame al pascolo. Trascorreva lunghe giornate immersa nella natura, ciò le permetteva una contemplazione singolare del Creato. Le cronache raccontano però del pessimo rapporto con i fratelli che erano alquanto rozzi. Proprio tali ingerenze la indussero, intorno ai vent’anni, a fuggire da casa per evitare un matrimonio imposto dalle esigenze economiche delle famiglie del paese. Oringa prese una decisione coraggiosa, rinunciò a tutto per seguire la via di Cristo. I primi ad ospitare la giovane furono, ad Altopascio, i frati ospitalieri - detti del Tau - dediti alla cura dei malati e all’accoglienza dei pellegrini. Tale esperienza consolidò la sua volontà di consacrarsi a Dio. Si diresse quindi a Lucca, dove giunse intorno al 1258. Per cinque anni visse nella città del “Santo Volto”, davanti al quale ebbe modo di pregare molte volte. Almeno fino al 1266 lavorò come domestica presso il Cavalier Cortevecchia, un nobile dalla vita esemplare. Erano tempi in cui le lotte tra guelfi e ghibellini sterminavano intere famiglie; è di quegl’anni la battaglia di Montaperti. Si organizzavano preghiere pubbliche cui certo Oringa non mancava di partecipare. Le giungeva l’eco delle violenze cui venivano sottoposte pure le sue terre natie. Oringa visse da laica una profonda spiritualità, contrastata però da violenti lotte contro il maligno. A difenderla fu il suo avvocato, l’Arcangelo Michele, e ciò la spinse a intraprendere un pellegrinaggio, con alcune compagne, sul Monte Gargano, per pregare nel venerato santuario. Avvolta dal silenzio di quel luogo santo, Oringa si raccolse in speciale contemplazione. Volle poi visitare il centro della cristianità, Roma, ma vi si trattenne per circa dieci anni. Un frate minore, Rinaldo, le procurò un lavoro al servizio di una nobile, chiamata Margherita, che era vedova. Oringa pregò nelle basiliche romane, sulle tombe dei martiri ed anche nell’Urbe rispose all’anelito di aiutare il prossimo sofferente. Con la pia nobildonna volle pregare alla Porziuncola di Assisi: qui il Signore le mostrò una casa e le ispirò la fondazione di un monastero nella sua S. Croce sull’Arno. Visitò ancora Castelfiorentino dove era ancora vivo il ricordo della beata Verdiana, morta nel 1242, una donna che dopo alcuni pellegrinaggi - Santiago e Roma - era vissuta da reclusa in una cella accanto ad un oratorio. Oringa veniva comunemente chiamata Cristiana per la sua condotta devota. Nel 1277 Oringa tornò nel suo borgo natio dove, insieme ad un gruppo di donne, diede vita ad una comunità secondo la regola delle terziarie francescane. Gli inizi non furono facili: si stabilì una collaborazione con l’autorità civica e con il vescovo, con il quale però i rapporti ebbero fasi alterne. Il 31 ottobre 1279 il Consiglio comunale concesse una casa in contrada San Nicola. Nel mese di dicembre ci fu la delibera e il perfezionamento della donazione. Ebbe il permesso di tenere con sé fino a dodici compagne. Costruirono quindi un oratorio per “la lode divina e fare atti di penitenza”: l’esemplarità di vita della comunità fece avere a Cristiana e alla consorelle una “lettera di fraternità” da parte del Maestro Generale degli Umiliati (1293), nel 1295 invece il Generale degli Agostiniani volle estendere alle religiose i “beni spirituali” dell’Ordine; nel 1296 il cardinale legato di Firenze confermò il potere alla comunità di eleggere la badessa; il 10 marzo 1298 un’altra lettera di fraternità fu data dal priore generale dei Servi di Maria. Il monastero fu dedicato a S. Maria Novella e a S. Michele, rispetto alla prima impostazione francescana, abbracciò poi la regola agostiniana, probabilmente per l’influenza di alcune personalità religiose del territorio. La data di appartenenza all’Ordine Agostiniano si può definire grazie ad una lettera del vescovo Paganello dei Porcari (gennaio 1294) che concesse alla comunità di Madre Cristiana “alcuni privilegi”, così come era abitualmente fatto con gli ordini “ufficiali”. Un Sostegno determinante venne anche dai vescovi, nonostante ciò le monache vissero sempre poveramente, tanto da essere costrette alla questua. Nel 1303 il vescovo lucchese Enrico del Carretto, francescano, esortò i fedeli a concedere elemosine affinchè potessero procedere i lavori di ampliamento del monastero, ricordando in particolare che in esso si solennizzava la festa della Immacolata Concezione della Vergine Maria. Tale consuetudine era già in atto nel 1290, come prova un decreto del vescovo Paganello. La beata Cristiana fece proprio e trasmise lo spirito di Sant’Agostino: “… abbiamo il comandamento di vivere uno core et anima in Dio”. Cristiana dettò le Costituzioni del monastero, da cui si deduce lo stile di vita della comunità: “humiltà di core et corpo”, raccomandava di ”essere studiose” e di comportandosi “maturamente et pacificamente”; le cose spirituali erano da “preponre alle temporali”. Alcuni aneddoti tramandatici sono significativi: durante una carestia Cristiana aprì il monastero per i soccorsi, a ricordo di uno dei suoi miracoli ancor’oggi, in occasione della festa, si distribuiscono i cosiddetti “panellini”. Un giorno uscì dalla clausura e si presentò al Consiglio degli anziani del Comune scongiurando di usare, nella delicata situazione politica che viveva il suo borgo, le sole armi della diplomazia. Non la ascoltarono e le conseguenze portarono ad una dolorosa sconfitta. Raggiunta la soglia dei settant’anni, dopo tre anni di infermità, la beata Cristiana fu colpita da una paralisi completa del lato destro del corpo, afflitta da dolori acuti, ma confortata dalla preghiera. Alcuni testimoniarono che, avvicinandosi il suo trapasso, una luce brillò maggiormente sul suo volto. Circondata dalle consorelle, in un vicendevole scambio di tenerezza e affetto, Madre Cristiana morì il 4 gennaio 1310. Il corpo rimase esposto per diciotto giorni, perché ininterrotto fu il flusso dei devoti che vollero prestarle un ultimo saluto. A metà del secolo XIV un anonimo scrisse la prima biografia: Castore Duranti (1300-1377) affermò d’aver raccolto le testimonianze di quanti la conobbero, in particolare delle consorelle. Possediamo inoltre importanti lettere che la beata scrisse a due vescovi di Lucca, ad alcuni benefattori e persino ad alcuni cardinali. Già dal primo anniversario della morte le furono tributati onori e culto, confermati dalle autorità comunali. Molti ottennero grazie per sua intercessione e in una bolla del 26 ottobre 1386 il vescovo di Lucca, fra’ Giovanni Saluzzi, chiamò Cristiana con l’appellativo “beata”. Nel gonfalone quattrocentesco del municipio di S. Croce è raffigurato il volto della santa concittadina. Il corpo si mantenne incorrotto, ma il 20 agosto 1515 un terribile incendio lo danneggiò come avvenne a buona parte del monastero. Furono raccolte le ossa e poste in una statua. La conferma ufficiale del culto avvenne il 15 giugno 1776. San Giovanni Bosco, nel 1857, propose le vicende della beata Cristiana ai suoi giovani. Una statua in marmo della beata fu collocata presso la facciata del duomo di Orvieto, un'altra nel chiostro di S. Croce a Firenze. Il monastero voluto e fondato dalla beata Cristiana è oggi uno dei più antichi d’Italia, sopravvissuto ad alterne vicende, vive e trasmette il carisma della sua fondatrice. PREGHIERA
O beata Cristiana, vero giglio di singolare purezza, per questa bella virtù che in tutto il corso della tua vita ti fece gareggiare con gli angeli, ti prego che dietro il tuo esempio io cominci a vivere davvero la vita dello spirito osservando esattamente la santa legge di Dio. Impetratemi la grazia che tanto desidero, purchè torni a gloria del Signore e a vantaggio dell’anima mia.
O beata Cristiana, vero angelo di carità, che sempre dimentica di te stessa, ti spendesti per sollevare le miserie morali e fisiche del prossimo, tanto di aver cambiato il tuo nome in quello glorioso di Cristiana, fa’ che tutte le mie azioni siano informate da questa eccelsa virtù, segno distintivo dei seguaci di Cristo. Impetrami la grazia che tanto desidero, purchè torni a gloria del Signore e a vantaggio dell’anima mia. O beata Cristiana, vero esempio di profonda umiltà, per questa virtù che ti assimilò ai più grandi santi, ottienimi di aver sempre il giusto concetto di me e di riporre tutta la mia confidenza nel Signore che esalta agli umili e resiste ai superbi. Impetrami la grazia che tanto desidero, purchè torni a gloria del Signore e a vantaggio dell’anima mia. O Padre che attiri al tuo Figlio i cuori degli uomini e riveli ai piccoli le meraviglie del tuo amore, concedi anche a noi di imitare nell’amore a Cristo Crocifisso e a Maria Immacolata la beata Cristiana da Santa Croce, nostra Patrona, e per sua intercessione aiutaci nelle nostre necessità. Per informazioni: Monastero Agostiniane di S. Cristiana Via Viucciola n. 1 56029 Santa Croce sull’Arno (Pi) |
Maria,al secolo Caterina,nacque in Pisa.Sposò uno delladella nobile famiglia Mancini.Rimasta vedova del primo e di un secondo marito vede morire tutti i suoi 7 figli; conosce S.Caterina da Siena ed entra nel conventodi Santa Croce retto dalla B.Chiara Gambacorti a Pisa. Alla morte della Beata Chiara sarà lei a sostituirla alla guida del monastero.
Beata Maria Mancini Madre e monaca
|
Pisa, 1355 - 1431
Rimasta vedova due volte, vide morire tutti i suoi sette figli; allora per consiglio di s. Caterina da Siena, prima prese l'abito del Terz'Ordine, poi entrò nel monastero fondato dalla b. Chiara Gambacorta a Pisa. Qui visse come monaca, tutta dedita alla contemplazione e alla penitenza. Successe alla b. Chiara nel governo della comunità, fino alla morte avvenuta il 22 gennaio.
Martirologio Romano: A Pisa, beata Maria Mancini, che, rimasta per due volte vedova e perduti tutti i figli, dietro esortazione di santa Caterina da Siena, iniziò la vita comunitaria nel monastero di San Domenico, che guidò per dieci anni.
|
La Beata Maria Mancini fu discepola di Santa Caterina da Siena e da lei ereditò l’ardente desiderio del ritorno dell’Ordine al suo primitivo splendore. Dopo aver condotto una vita di gran perfezione nello stato del matrimonio, unendosi con Baccio Mancini, e poi in quello vedovile, periodo nel quale perse anche i suoi due bambini, anelante al completo sacrificio di se, dopo essere passata a seconde nozze con Guglielmo Spezzalaste, dal quale ebbe sei figli, che ben presto trovarono anche loro la morte, entrò, ancor giovane, a venticinque anni, nel Monastero Domenicano di Santa Croce, in provincia di Pisa. In questo sacro asilo era invalso il deplorevole abuso della vita privata, che, infiltratosi nell’Ordine, ne minava la disciplina regolare fin dalle fondamenta. Animata dai più santi ideali, Maria non si lasciò trascinare dalla corrente. Le più timide consorelle, rianimate dai suoi esempi e dal suo fervore, le si strinsero intorno ed essa vide in breve intorno a sé un bel gruppo di religiose ferventi tra le quali brillava la giovanissima Chiara Gambacorta. Queste anime elette dettero così inizio a quella vita comune, che poi, passando nel nuovo Monastero di S. Domenico, costruito da Pietro Gambacorta per la figlia Chiara, poterono proseguire e restaurare in pieno. Inaugurata in questo novello cenacolo la vita austera e santa voluta dal glorioso fondatore, lo spirito di Dio incominciò ad operare meraviglie in quei cuori generosi. Maria fu rallegrata da celesti visioni e la sua tenera carità meritò di lavare le piaghe a Gesù, apparsole in sembianze di giovane piagato. Alla morte di Chiara Gambacorta, che fu la prima Priora del monastero, le successe nel governo che tenne fino alla sua beata morte, avvenuta il 22 gennaio 1431. E’ sepolta a Pisa nella chiesa del Monastero di San Domenico. Papa Pio IX il 2 agosto 1855 ha confermato il culto.
L'Ordine Domenicano la ricorda il 30 gennaio. |
Beato Bartolomeo Aiutamicristo da Pisa Religioso Camaldolese
|
m. Pisa, 28 gennaio 1224
Il beato Bartolomeo Aiutamicristo, monaco camaldolese, proveniva da una antica e nobilissima famiglia pisana. Fu però reso ancor più illustre dalla santità di vita, confermata da strepitosi miracoli verificatisi in vita e dopo la sua morte. Quest’ultima lo colse il 28 gennaio 1224 ed in tale anniversario è commemorato dal Martyrologium Romanum e dal Menologio Camaldolese.
Martirologio Romano: Presso San Frediano vicino a Pisa, beato Bartolomeo Aiutamicristo, religioso dell’Ordine dei Camaldolesi.
|
Nato a Pisa in un anno sconosciuto dalla nobile famiglia pisana degli Aiutamicristo, Bartolomeo entrò come fratello converso nel monastero camaldolese di S. Frediano, dove morì il 28 genn. 1224, dopo una vita ricca di numerosi miracoli, continuati anche dopo la morte. Il corpo di Bartolomeo fu sepolto nella chiesa del monastero, sotto un altare eretto in suo onore dai concittadini; in seguito, per favorirne la venerazione, esso fu collocato sotto l'altare maggiore. L'incendio del 1675 danneggiò gravemente tutto l'edificio sacro, bruciando quasi per intero anche il venerato corpo di Bartolomeo, fino allora incorrotto. I pochi frammenti rimasti furono esposti nella sacrestia. Pio IX nel 1857 confermò il suo culto e lo estese all'Ordine camaldolese e all'arcidiocesi pisana. La festa liturgica si celebra il 12 aprile.
|
* SAN WALFRIDO (WILFREDO) DELLA GHERARDESCA abate (festa 15 febbraio)
Walfredo,nobile pisano,si sposò ed ebbe 5 figli.Amante della vita cenobitica, fondò
a Palazzuolo,in Diocesi di Populonia, un convento ed una chiesa dedicata a S.Pietro.
Vi si ritirò con i figli ed alcuni amici. Fondò anche un convento presso il fiume Versilia
per sua moglie e le sue seguaci.Morì a Pisa nel 765.
San Wilfrido (Walfredo) della Gherardesca Abate fondatore di Palazzolo
|
Pisa, VIII sec.
Walfredo, ritenuto il capostipite della famiglia della Gherardesca, dopo essersi sposato e aver avuto 5 figli, decise di ritirarsi a vita eremitica con due compagni, Forte proveniente dalla Corsica e Gundoaldo di Lucca. A Palazzolo, nell'alta val di Cornia, eressero un monastero intitolato a san Pietro chiamando un monaco da S. Vincenzo al Volturno per apprendere la regola benedettina. Successivamente fondarono nelle vicinanze anche un monastero per le loro spose e per quelle dei figli di Walfredo che avevano risolto di seguire il padre nella vita monastica. Uno di loro, però, Ginfrido, dopo essere stato ordinato prete, fuggì dal monastero e Walfredo gli profetizzò una punizione che lo colse con l'amputazione di una falange di un dito: Ginfrido pentito ritornò allora nel monastero distinguendosi per pietà, tanto che, alla morte del padre che era stato eletto primo abate, fu chiamato a succedergli.
Martirologio Romano: A Palazzolo in Toscana, san Valfredo, abate, che, dopo aver generato cinque figli, decise di condurre con la moglie vita monastica.
|
A leggere la ‘Vita ‘ di s. Walfrido della Gherardesca, non si può non rimanere stupiti di come molti secoli fa, si riusciva ad operare delle separazioni fra coniugi e sfaldamento delle famiglie, per raggiungere un ideale religioso da parte di uno o di tutti e due i coniugi, con la benedizione anche della Chiesa.
Walfrido nato a Pisa e vissuto nel secolo VIII, apparteneva alla nobile famiglia toscana della Gherardesca, che in seguito signoreggiò su Pisa nei secoli XII - XIII e il cui primo capo della signoria fu Ugolino della Gherardesca († 1289) la cui triste vicenda e morte fu narrata da Dante nella Divina Commedia. Uomo di molte virtù, Walfrido si sposò ed ebbe cinque figli che educò cristianamente; in seguito raggiunto un accordo con la moglie, si ritirò sul Monteverdi in provincia di Pisa, insieme a due compagni: Forte nobile della Corsica e Guidoaldo di Lucca un suo parente, anch’egli sposato e con un figlio. Condussero insieme vita eremitica attirando con la fama della loro austerità, anche altri discepoli. Nel luglio 754, egli eresse, con il permesso del vescovo di Pisa, il monastero di S. Pietro di Palazzuolo, ponendolo sotto la Regola di s. Benedetto; lo dotò di beni materiali, sottraendolo ad ogni ingerenza esterna; il tutto è documentato con Atti in copie del sec. XI. Walfrido ne divenne il primo abate e quattro dei suoi figli lo seguirono come monaci. Ricevé la Regola e l’esempio della vita monastica da Magno, monaco venuto dal celebre monastero benedettino di S. Vincenzo al Volturno. Non poteva mancare il fondare da parte sua e dei monaci, di un altro monastero poco lontano da Palazzuolo, per le loro mogli che desideravano anch’esse condurre una vita monastica. Non tutto filò liscio, il figlio Ginfrido già ordinato sacerdote, ebbe una crisi spirituale per cui lasciò il monastero. Walfrido, padre ed abate, arrabbiato diremmo oggi, minacciò un castigo ed infatti il fuggitivo, non si sa come, perse una falange di un dito. Ginfrido colpito da questo fatto, ritornò convertito alla vita monastica, meritando per i suoi meriti successivi, di diventare abate alla morte del padre Walfrido, avvenuta il 15 febbraio 765. Successivi miracoli e prodigi avvenuti sulla sua tomba e l’esempio delle sue virtù, fecero scaturire ben presto un culto fra i suoi monaci che si diffuse in tutta la regione. Culto che poi venne confermato con decreto del 12 settembre 1861 da papa Pio IX. È ricordato nel Calendario Benedettino e nelle diocesi di Pisa e di Massa Marittima, il 15 febbraio. |
*BEATA GHERARDESCA della GHERARDESCA religiosa (festa 5 marzo)
Desiderosa della vita monastica, convinse suo marito a vestire l'abito camaldolese,suo marito come monaco,lei come oblata, nel monastero di S.Savino.Si dedicò particolarmente alle preghiere e al digiuno.
Ebbe da Dio il dono dell'estasi e per sua intercessione si operarono molti miracoli.
Morì nella seconda metà del secolo tredicesimo.
Beata Gherardesca Vedova, monaca camaldolese
|
Pisa, 1200 circa - 1270 circa
Etimologia: Gherardesca = lancia ardita, dal germanico
Martirologio Romano: A Pisa, beata Gherardesca, vedova, che trascorse la vita in una cella accanto al monastero Camaldolese di San Savino, dedita alle lodi di Dio e all’intimità con il Signore.
|
Gherardesca, nacque a Pisa intorno al 1200 e si sposò assai giovane. Fervente cristiana e modello di sposa, non avendo figli in seguito a visioni celesti persuase il marito a farsi monaco presso il monastero Camaldolese di San Savino in Pisa, per poi ritirarsi anch’essa quale oblata reclusa in una celletta del medesimo monastero. Qui, lodando e conversando con il Signore, raggiunse i più alti gradi della contemplazione.
Gherardesca infine morì presso Pisa verso l’anno 1270 circa. Nella "Histoire dell'antichissima città di Pisa" non manca un dovuto riferimento alla Beata Gherardesca Pisana delle Conti Gherardesca monaca camaldolese. Il Martyrologium Romanum la commemora quale “beata” al 29 maggio, mentre secondo il Menologio Camaldolese è considerata “santa” con festa posta al 9 giugno. |
*BEATO AGNELLO degli AGNELLI religioso (festa 13marzo)
Nacque a Pisa dalla nobile famiglia degli Agnelli verso il 1194.
Indossò l'abito francescano dalle mani dello stesso S.Francesco che
nel 1217 lo inviò dapprima a Parigi, poi in Inghilterra per fonadare
dei conventi:E' il fondatore della celebre scuola francescana di
Oxford.
Oxford.
Morì a Oxford il 13 marzo 1235.Il suo culto fu confermato da Papa
Leone XII nel 1892.
Leone XII nel 1892.
Beato Agnello da Pisa Francescano
|
Pisa, 1194 circa - Oxford, Inghilterra, 1235/1236
Fu compagno di san Francesco d’Assisi dal 1212; da lui fu inviato nel 1217 in Francia come provinciale e poi nel 1224 in Inghilterra per istituirvi la nuova provincia francescana. Assisté al capitolo generale di Assisi nel 1230. Culto confermato da Papa Leone XII.
Etimologia: Agnello = messaggero, dal greco
Martirologio Romano: A Oxford in Inghilterra, beato Agnello da Pisa, sacerdote, che, mandato da san Francesco prima in Francia e poi in Inghilterra, vi istituì l’Ordine dei Minori e promosse lo studio delle scienze sacre.
|
Nel 1211, dopo una visita di S. Francesco, i Francescani si insediarono a Pisa. In quell’occasione il giovane Agnello conobbe il santo d’Assisi e, attratto dal suo ideale di vita, entrò nel primitivo convento, sorto presso la chiesa della SS. Trinità.
Nel Capitolo Generale del 1217 si decise che un gruppo di frati si sarebbe recato in Francia. Francesco cominciò il viaggio ma, incontrato lungo la strada il Cardinale Ugolino (futuro Papa Gregorio IX), dietro sue insistenze, decise di restare in Italia. A capo della spedizione fu posto Agnello, che era ancora un diacono. Giunti a Parigi, Agnello aprì nei dintorni alcuni conventi ed ebbe la felice intuizione di fondare una comunità per i francescani studenti universitari, considerando che la capitale francese era tra le più importanti dal punto di vista culturale. Dopo sette anni S. Francesco nominò nuovamente Agnello capo di una missione, composta da otto frati, questa volta diretta in Inghilterra. Tra questi vi erano tre inglesi, tra cui un sacerdote, Riccardo di Ingworth. Passato il Canale della Manica, il gruppo sbarcò nell’isola il 10 settembre 1224. Si insediarono a Canterbury, trovando per qualche tempo soggiorno notturno presso una scuola, quando era chiusa agli studenti. Sopportarono molti disagi per le temperature rigide e per il poco cibo, ma il loro contegno e il loro entusiasmo destarono molta ammirazione. Ricevettero in dono, poi, un terreno poco ospitale su cui costruirono un convento. Da qui, due inglesi e due italiani, tra cui Agnello, si recarono a Londra dove, dopo essere stati accolti dai Domenicani, affittarono una casa. Grazie alle numerose vocazioni fu successivamente aperto un convento anche a Oxford con scuola teologica che grazie al Beato di Pisa, assunse un’importanza straordinaria. Fedeli a “sorella povertà”, in tutti i conventi si viveva in modo austero e il tempo da dedicare agli studi non doveva compromettere la preghiera. Anche a Cambridge venne fondata una importante facoltà teologica, che però non eguagliò quella di Oxford. Il Beato Agnello, la cui fama di santità in vita raggiunse Re Enrico III, fu punto di riferimento anche per i secoli a venire. Tra i maggiori teologi che studieranno in seguito nelle scuole da lui fondate, basti citare Bacone e il Beato Duns Scoto. Il Beato, nonostante la malferma salute, volle tornare brevemente in Italia. Ristabilitosi ad Oxford, morì il 13 marzo del 1235 o 1236, a soli quarantuno anni. Il suo culto è stato confermato da Papa Leone XIII il 4 settembre 1892. |
*BEATA CHIARA GAMBACORTI religiosa 1362-1419 (festa 17 aprile)
Figlia di una potente famiglia pisana, rimane vedova giovanissima.Entrò dapprima nel convento di San Martino,donde fu tratta a forza dai suoi parenti.Conosce S.Caterina da Siena e finalmente con l'aiuto della mamma potè entrare nel Convento di Santa Croce dell'Ordine Domenicano, di cui fu a capo. Tra le sue consorelle c'è (la poi Beata) Maria Mancini, che dirigerà il monastero alla sua morte.Si ricorda di lei il gesto di perdono agli uccisori del padre e di duesuoi fratelli.Morì nel 1419.
Figlia di una potente famiglia pisana, rimane vedova giovanissima.Entrò dapprima nel convento di San Martino,donde fu tratta a forza dai suoi parenti.Conosce S.Caterina da Siena e finalmente con l'aiuto della mamma potè entrare nel Convento di Santa Croce dell'Ordine Domenicano, di cui fu a capo. Tra le sue consorelle c'è (la poi Beata) Maria Mancini, che dirigerà il monastero alla sua morte.Si ricorda di lei il gesto di perdono agli uccisori del padre e di duesuoi fratelli.Morì nel 1419.
*BEATO DOMENICO VERNAGALLI sacerdote (festa 20 aprile)
Entrò assai giovane nel monastero dei Camaldolesi di San Michele in Borgo.Si distinse soprattutto nella preghiera e nella penitenza.Fu parroco di San Michele in Borgo e presso quella chiesa fondò un ospizio per accogliere i bambini abbandonati dai genitori.Morì a Pisa il 20 aprile 1218.
Beato Domenico Vernagalli Confessore
|
Pisa, 1180 - Pisa, 20 aprile 1219
Martirologio Romano: A Pisa, beato Domenico Vernagalli, sacerdote dell’Ordine Camaldolese, che costruì un orfanotrofio.
|
Nato da una famiglia benestante ma attratto dal monastero di san Michele in Borgo nella città di Pisa, Domenico decise di abbandonare la vita agiata e lussuosa per dedicarsi completamente a Gesù.
Verso il 1200 entrò così in monastero. Parroco di san Michele in Borgo nel 1204, non abbandonò mai le dure pratiche ascetiche, che sempre accettò con grande fervore. Colpito dalla piaga dei figli illegittimi che flagellava la città di Pisa, eresse nel 1218 lo "Spedale dei Trovatelli" sempre presso san Michele. Morì il 20 aprile dell'anno dopo. Immediatamente fu ritenuto santo, non solo da tutti i cittadini pisani, ma anche la stessa Chiesa non esitò a ritenerlo tale. Pio IX (1846-1878) il 17 agosto 1854 approvò il decreto della Sacra Congregazione dei Riti col quale si dichiarava beato Domenico Vernagalli. |
* SAN TORPE' martire (festa 30 aprile)
San Torpete (Torpes, Torpè) Martire
|
Sec. I
Emblema: Palma
Martirologio Romano: A Pisa, san Torpeto, martire.
|
Secondo la tradizione, Pietro, prima di raggiungere Roma, giunse ad una cittadina poco lontana dalla futura Repubblica Marinara di Pisa. A ricordo del soggiorno di Pietro è la bellissima Chiesa di S. Piero a Grado, che ancora oggi testimonia le origini della presenza cristiana nella provincia pisana. Le scarse notizie su Torpete ci informano che fu contemporaneo a questi avvenimenti. Gli Atti del martirio di S. Torpete, che attestano la devozione per il santo pisano già dal IX secolo, ad opera dei Bollandisti e il Martirologio Romano, che contiene l’Elogio del santo martire, costituiscono le uniche scarse fonti, che sebbene debbano essere lette con molta prudenza, offrono un quadro generale plausibile sulla figura di Torpete.
Torpete visse in tempo di persecuzioni. L’impero romano, che ebbe spesso nei confronti della Chiesa Cristiana un rapporto conflittuale e talvolta di aperto contrasto, ricorse anche a pratiche intimidatorie ed eliminazioni fisiche dei seguaci di Gesù. Divenuto anch’egli cristiano, Torpete praticava di nascosto la nuova fede religiosa, il che non gli impediva di svolgere un ruolo importante presso l’amministrazione romana, come troviamo scritto in Filippesi 4, 22. Tornato a Pisa, fu riconosciuto cristiano dal prefetto della città, Satellico, il quale tentò di riportarlo alla religione pagana. A nulla valsero i suoi sforzi: né le false promesse, né le prove fisiche convinsero Torpete a rinnegare Gesù Cristo, che raggiunse in cielo il 29 aprile, giorno del suo martirio. Dopo la morte, il suo corpo fu abbandonato sopra una imbarcazione, che si arenò presso Sino, un porto talvolta riconosciuto in Francia, in altre occasioni in Spagna o anche in Portogallo. Ciascuna di queste nazioni rivendicano infatti il corpo del martire, testimonianza del fatto che il culto del santo pisano è effettivamente molto antico, come dimostrano le Chiese dell’XI secolo dedicate in suo onore. Sempre nello stesso secolo, intorno al 1084, si trova traccia della Chiesa pisana di San Torpete. L’importanza del santo pisano crebbe nei secoli anche in virtù dei numerosi miracoli riconosciuti a Torpete. Monsignor Federigo Visconti, vescovo di Pisa dal 1254 al 1278, riporta nel Sermone 36, recitato il giorno dell’Ascensione, che la chiesa di S. Piero ad Gradus era meta di molti pellegrini, non solo toscani, che concurrunt cum devozione maxima ad Ecclesiam istam beati Petri Apostoli. Il Codice Civile della Repubblica del 1284 stabiliva che il giorno 29 aprile si celebrasse la sua festa. Tra i segni prodigiosi compiuti dal santo pisano merita di essere ricordato quello del 29 aprile 1633: colpita da una gravissima peste, la città di Pisa ricorse alle preghiere ed alla intercessione di Torpete, e ne fu immediatamente liberata. |
*BEATA MARIA VERGINE (festa del 15 maggio)
*SAN GUIDO della GHERARDESCA religioso
San Guido della Gherardesca Confessore
|
Pisa, 1060 - Pisa, 20 maggio 1140
Etimologia: Guido = istruito, dall'antico tedesco
Martirologio Romano: A Castagneto in Toscana, beato Guidone della Gherardesca, eremita.
|
Sul santo pisano non ci sono molte notizie. Le poche che sono disponibili lo presentano talvolta come monaco camaldolese in san Michele in Borgo (Pisa); per altri fu Terziario francescano. La Sacra Congregazione dei Riti preferì la lezione ricavata dai Bollandisti, che si servirono dell'Archivio della famiglia Gherardesca.
Napoleone Gherardesca fu, probabilmente, il padre di Guido e Pietro. Quest'ultimo venne creato successivamente cardinale da Pasquale II (1099-1118). La vita di Guido fu contrassegnata dalla preghiera, dalla meditazione, dal digiuno e dalla elemosina. Come spesso si riscontra anche nella vita degli altri santi pisani dei secoli XII-XIII, Guido fu ritenuto santo già in vita. Per non cadere nel peccato di orgoglio, decise così di allontanarsi dalla città. All'età di 40 anni lasciò dunque Pisa e visse in solitudine presso Donoratico. Là costruì un oratorio che dedicò a santa Maria alla Gloria, dove aspettò fra digiuni e preghiere di entrare nel Regno di Dio il 20 maggio 1140. Alla sua morte la venerazione per Guido della Gherardesca crebbe notevolmente. Nel 1212 fu concesso il trasferimento del corpo dall'oratorio, ormai troppo angusto per la folla dei fedeli, alla Chiesa di Donoratico. Un Breve di papa Callisto III (1455-1458) indirizzato all'Arcivescovo di Pisa Giuliano Ricci, autorizzò la traslazione del corpo del santo pisano. Venerdì 16 giugno 1459 i pisani poterono così accogliere con una grande festa uno dei santi, che segnarono la vita spirituale della città toscana. |
*SANTA UBALDESCA TACCINI 1136-1206, patrona di Calcinaia (PI),vergine
dell'Ordine di Malta (festa 28maggio).Nata da una umile famiglia a Calcinaia all'età di 15 anni giunse a Pisa e si ferma alla Chiesa del Santo Sepolcro.Fece la professione religiosa tra le monache dell'Ordine Gerosolimitano addetto all'ospedale che si trovava a Pisa.Per tutti i 55 anni di vita religiosa, Ubaldesca praticò nel monastero e nello "Spedale" della città l'umiltà e la carità, mortificando di continuo il suo corpo con digiuni intensi e prolungati.Oltre a curare gli infermi si dette premura di elemosinare per la città a favore dei bisognosi.La santa operò molti miracoli e guarigioni già in vita e questi si moltiplicarono dopo la sua morte avvenuta il 28 maggio 1205 festa della Santissima Trinità Approfondisci..
dell'Ordine di Malta (festa 28maggio).Nata da una umile famiglia a Calcinaia all'età di 15 anni giunse a Pisa e si ferma alla Chiesa del Santo Sepolcro.Fece la professione religiosa tra le monache dell'Ordine Gerosolimitano addetto all'ospedale che si trovava a Pisa.Per tutti i 55 anni di vita religiosa, Ubaldesca praticò nel monastero e nello "Spedale" della città l'umiltà e la carità, mortificando di continuo il suo corpo con digiuni intensi e prolungati.Oltre a curare gli infermi si dette premura di elemosinare per la città a favore dei bisognosi.La santa operò molti miracoli e guarigioni già in vita e questi si moltiplicarono dopo la sua morte avvenuta il 28 maggio 1205 festa della Santissima Trinità Approfondisci..
Santa Ubaldesca Taccini Vergine dell'Ordine di Malta
|
Calcinaia (Pisa), 1136 - Pisa, 28 maggio 1206
Nata a Calcinaia nel 1136 da genitori di umile condizione, Ubaldesca, figlia unica, fin da giovane seppe mostrarsi umile e devota nei confronti della famiglia e di Gesù. Solerte nella pratica della preghiera, accompagnata spesso dal digiuno, la santa pisana si distinse soprattutto per la carità esercitata verso i poveri. Chiamata dal Signore ad entrare nell'ordine gerosolimitano di san Giovanni (istituito pochi anni prima nel 1099 a Gerusalemme presso la Chiesa di san Giovanni Battista sotto la regola di sant'Agostino) all'età di 15 anni lasciò Calcinaia per la città di Pisa, fermandosi nella Chiesa di san Sepolcro (costruita nei primi anni del secolo XII dall'architetto pisano Diotisalvi). Per tutti i 55 anni di vita religiosa, Ubaldesca praticò nel monastero e nello "Spedale" della città l'umiltà e la carità, mortificando di continuo il suo corpo con digiuni intensi e prolungati. La santa pisana operò miracoli già in vita e, dopo la morte avvenuta il 28 maggio 1206 festa della Santissima Trinità, si moltiplicarono le guarigioni straordinarie legate al suo nome. (Avvenire)
Martirologio Romano: A Pisa, santa Ubaldesca, vergine, che dall’età di sedici anni fino alla morte, per cinquantacinque anni, svolse con perseveranza in un ospizio opere di misericordia.
|
Santa Ubaldesca Taccini è una santa che segnò profondamente la vita spirituale di Pisa nei secoli XII-XIII, insieme con santa Bona, san Guido della Gherardesca e san Ranieri. In un periodo storico che vide la Repubblica Marinara di Pisa dominare il Mediterraneo e i suoi cittadini godere di un tenore di vita particolare, la santa propose un modello di vita sganciato dalla vita sociale pisana e strettamente fedele al messaggio di povertà e rinuncia predicato da Gesù.
Nata da genitori di umile condizione, Ubaldesca, figlia unica, fin da giovane seppe mostrarsi umile e devota nei confronti dei genitori e di Gesù. Solerte nella pratica della preghiera, accompagnata spesso dal digiuno, la santa pisana si distinse soprattutto per la carità esercitata verso i poveri. Chiamata dal Signore ad entrare nell'ordine gerosolomitano di san Giovanni (istituito pochi anni prima nel 1099 in Gerusalemme presso la Chiesa di san Giovanni Battista sotto la regola di sant'Agostino) all'età di 15 anni lasciò Calcinaia per la città di Pisa, fermandosi nella Chiesa di san Sepolcro (costruita nei primi anni del secolo XII dall'architetto pisano Diotisalvi). Per tutti i 55 anni di vita religiosa, Ubaldesca praticò nel monastero e nello "Spedale" della città l'umiltà e la carità, mortificando di continuo il suo corpo con digiuni intensi e prolungati. La santa pisana operò miracoli già in vita e, dopo la morte avvenuta il 28 maggio 1206 festa della Santissima Trinità, si moltiplicarono le guarigioni straordinarie legate al suo nome. Attualmente alcune reliquie di Ubaldesca Taccini si trovano anche a Malta, consegnate in data 31 giugno 1587. Sisto V (1585-1590) concesse l'indulgenza plenaria per quanti visitavano la Chiesa maltese il giorno 28 maggio. |
*SANTA BONA da PISA vergine 1155-1207 (festa 29 maggio) I suoi resti riposano nella chiesa di S. Martino a Pisa.Nacque a Pisa verso il 1156.Si consacrò a Dio presso i canonici regolari di S.Agostino,che conducevano vita comune presso la chiesa di S.Martino nella stessa città.Praticando la carità compì con devozione frequenti pellegrinaggi in Terra Santa, a Roma a S.Michele Arcangelo sul monte Gargano e nove volte a S.Giacomo di Compostela.Per tali motivi il papa Giovanni XXIII nel 1962 la scelse come patrona delle Hostesses in Italia. Morì a Pisa il 29 maggio 1207 e fu sepolta nella chiesa di S.Martino a Pisa.
Approfondisci.. /// LEGGI TUTTO..
Santa Bona da Pisa Vergine
|
Pisa, 1155/6 - 1207
Nel secolo XIII si assiste ad un numero sempre maggiore di sante. Queste donne cristiane, spesso laiche, sembrano rientrare in una tipologia di santità femminile che non appartiene a Bona. La santa pisana infatti si distingue da altre figure femminili per la sua vocazione fin da bambina; la scelta della verginità e l'assoluta obbedienza nei confronti dei suoi superiori. Ma ciò che caratterizza Bona e che la allontana moltissimo da altre sante del suo tempo è la continuità dei viaggi, che non verranno meno anche in periodi particolarmente difficili: Santiago de Compostela (che raggiungerà ben nove volte), san Michele al Gargano, Roma e la Terra Santa sono le sue méte preferite.
Al tempo stesso non rinnegherà mai il suo forte legame con Pisa e i suoi abitanti ed in particolare con i canonici regolari di Sant'Agostino di san Martino e con i monaci pulsanesi di san Michele degli Scalzi: i numerosi miracoli compiuti dalla santa pisana dimostrano la sua grande attenzione e premura soprattutto nei confronti dei più deboli e dei più poveri.
Patronato: Hostesses
Emblema: Croce e la lettera
Martirologio Romano: A Pisa, santa Bona, vergine, che compì con devozione frequenti pellegrinaggi in Terra Santa, a Roma e a Compostela.
|
Il Codice C 181 depositato presso l'Archivio Capitolare del Duomo di Pisa che raccoglie una prima biografia scritta dal monaco pulsanese Paolo, morto nel 1230, quando era ancora in vita la santa pisana ci informa che Bona nacque a Pisa verso il 1155/1156 nella parrocchia di San Martino di Guazzolongo nel quartiere di Kinzica. Mamma Berta era di origine corsa e dopo essersi stabilita a Pisa conobbe un mercante, Bernardo. Bona fu l'unico frutto di quel matrimonio: Bernardo si imbarcò quando Bona aveva solo tre anni e non fece più ritorno, lasciando così Berta in grandissime difficoltà economiche in quanto straniera e unica responsabile della famiglia.
All'età di sette anni ebbe un primo incontro con Gesù e grazie a padre Giovanni dell'Ordine dei Canonici Regolari di San Agostino entrò in convento. Bona scelse di martoriare il suo corpo con prove sempre più dure e giunse ad indossare il cilicio dopo una nuova visione di Gesù. All'età di dieci anni ebbe una nuova visione che la segnerà per la vita: insieme con Gesù e Maria incontra San Giacomo. Preparata da padre Giovanni, all'età di dieci anni si presenta al Priore che la consacrerà al Signore. Dopo tre anni di raccoglimento ed aspre penitenze (durante le quali continua a punire il suo corpo), nel 1170, a seguito di una nuova visione di Gesù, parte per Gerusalemme, dove il Signore le rivela che vive Bernardo. Avvertita ancora da Gesù sfugge al suo tentativo di impedirle di scendere dalla nave e si rifugia da un eremita di nome Ubaldo, che diventa il suo padre spirituale. Nel tentativo di ritornare a Pisa con alcune sue compagne di viaggio viene ferita al costato e catturata dai saraceni. Riscattata da alcuni mercanti pisani, ripara finalmente verso il 1175 nella sua stanzetta di San Martino. Qui avviene una nuova visione: con Gesù si presenta San Giacomo che la invita ad unirsi a dei pellegrini in viaggio per Santiago de Compostela. Il pellegrinaggio era un'autentica avventura che durava circa nove mesi, i pellegrini sapevano di rischiare anche la morte: ragione per la quale era prassi normale stendere il testamento. Bona, così esile e continuamente sottoposta a prove fisiche che lei stessa si procurava, non esita, partecipa a quel primo pellegrinaggio, al quale seguiranno molti altri. Il suo compito è di sorreggere nelle difficoltà, incoraggiare nei momenti più difficili, prestare soccorso sanitario ed invitare tutti i pellegrini alla preghiera e alla penitenza. Raggiungerà ben nove volte Santiago ed altrettante volte ritornerà a Pisa! Ma guidò anche i pellegrini a Roma e raggiunse anche San Michele Arcangelo sul Monte Gargano. All'età di 48 anni è costretta ad interrompere i pellegrinaggi e il 29 maggio 1207 raggiungerà il suo Sposo in cielo. Ora riposa nella Chiesa di San Martino a Pisa. Il 2 marzo 1962, Giovanni XXIII la dichiarò ufficialmente patrona delle hostesses di Italia. |
Santa Bona
Santa Bona
(immagine tratta dal volume: G. Zaccagnini, La tradizione agiografica medievale di santa Bona da Pisa, Pisa 2004 Piccola Biblioteca GISEM, 21)
Bona, nacque a Pisa, nel quartiere di Kinzica, intorno alla metà del secolo XII, probabilmente verso il 1155. Sebbene legata alla comunità di S. Martino in Kinzica come oblata, ebbe rapporti strettissimi con i benedettini pulsanesi del monastero di S. Michele “in Orticaria”. La Vita ci è pervenuta in quattro redazioni, di cui solo due complete, tràdite dal codice C 181 (secolo XIV-XV) dell' Archivio Capitolare di Pisa. Dall'analisi testuale si evince che la redazione originale fu prodotta nell'ambiente dei benedettini pulsanesi (al cui Ordine apparteneva il monastero di S. Michele), e che successivamente fu rielaborata dai Canonici Regolari di S. Martino, dando origine a una seconda redazione. Le due redazioni che ci sono pervenute complete si distinguono per la struttura interna, per l’estensione e soprattutto per la finalità: la redazione pulsanese, più vicina alla realtà dei fatti anche se incline ad evidenziare i rapporti fra la santa e la comunità di S. Michele, sottolinea come Bona, pur essendo oblata dei canonici di S. Martino, si sentisse tutto sommato libera di seguire la propria vocazione, che fu quella della “peregrinatio religiosa”; la redazione canonicale cerca invece di mettere in risalto l'immagine di Bona come “figlia spirituale” dei canonici di S. Martino.
Le Vitae sono concordi nell’affermare che fin da bambina dette prova di grande fervore religioso. A soli dodici o tredici anni partì per la Terrasanta e vi si fermò per quasi dieci anni. Ritornata a Pisa, andò a vivere come oblata in una modesta dimora presso la chiesa di S. Martino. La sua vita non trascorse però in un quieto isolamento: pur essendo cagionevole di salute visse alternando lavoro e preghiera a lunghi ed estenuanti pellegrinaggi alla volta dei santuari più celebri, da Roma (“ad limina Apostolorum”) a S. Michele del Gargano, fino a Santiago di Compostela, dove si recò nove volte. Bona viaggiava in genere da sola, al modo degli antichi “peregrini” irlandesi, per cercare l'incontro con Dio nella solitudine di un esilio volontario, affrontando con coraggio i pericoli, i disagi e le fatiche di un continuo peregrinare che era l'espressone visibile della scelta di estraneità al mondo, terra d'esilio del cristiano che vive nell'attesa di giungere alla sua vera patria. La particolarissima devozione di Bona per l’apostolo Giacomo si espresse, oltre che nei ripetuti pellegrinaggi a Santiago, nella edificazione di una chiesa con annesso monastero a nord di Pisa, S. Jacopo de Podio, che la santa affidò ai monaci pulsanesi di S. Michele. Morì a Pisa il 29 maggio 1207 e fu sepolta nella chiesa di S. Martino, dove tutt'ora si trova il suo corpo. Festeggiata a Pisa il 29 maggio, Bona fu proclamata patrona delle assistenti di viaggio italiane da Giovanni XXIII, il 2 marzo 1962.
Tratto da: G. Zaccagnini, I santi nuovi della devozione pisana nell’età comunale (secoli XII–XV), in Profili istituzionali della santità medievale. Culti importati, culti esportati e culti autoctoni nella Toscana Occidentale e nella circolazione mediterranea ed europea, a c. di C. Alzati e G. Rossetti, Pisa 2008 (= Piccola Biblioteca GISEM, 24), pp. 289–316 (pp.295-296)
Foto: a sinistra, Papa Giovanni Paolo II, al centro l’Arcivescovo di Pisa Mons. Alessandro Plotti e, a destra, Don Enrico Giovacchini Priore della Chiesa di San Martino in Kinzica che omaggia Sua Santità di un dipinto raffigurante Santa Bona protettrice delle hostess
La motivazione del Papa Giovanni XXIII
Dalla motivazione di Papa Roncalli traiamo alcuni significativi passi:
Dalla motivazione di Papa Roncalli traiamo alcuni significativi passi:
"La Chiesa (…) guarda anche a quelle giovani che, ai nostri tempi, nei quali sono aumentati straordinariamente i viaggi all'estero, (…) offrono ai viaggiatori la loro opera di assistenza e adempiono ad un ufficio certamente benefico e utile, ma esposto a moltissime difficoltà e pericoli.
Per cui sembra conveniente che (…) siano informate agli esempi di una celeste Patrona e siano sempre difese dalla sua Protezione. Viene proposta la Vergine Pisana, Bona. (…) che si recò più volte nei Sacri Luoghi, nell'Alma Città e a Santiago de Compostela, spinta da sentimenti religiosi come guida e aiuto dei pellegrini.(...).
Per sempre dichiariamo Santa Bona, Vergine pisana, Patrona delle Assistenti dei viaggiatori comunemente dette hostesses".
A.D. 2.3.1962
A Pisa, in San Martino in Kinzica, è attiva la Compagnia di Santa Bona, la cui presentazione è visibile sul web www.santabona.pisa.it
* SAN RANIERI (patrono) circa1117 - 1160 ( festa 17giugno) Le sue spoglie sono nella cattedrale di Pisa
San Ranieri Scacceri é uno dei primi Santi laici d'Europa, visse nello svago e nei divertimenti la prima parte della vita. A 23 anni si liberò delle sue ricchezze ed andò in Terra Santa dove passò molti anni penitente. Tornato a Pisa nel 1154, già con la fama di Santo, compì molti miracoli e morì nel 1160.Dal 1633 è il patrono principale di Pisa e della Arcidiocesi , è subentrato al posto di S.Sisto II Approfondisci.. /// LEGGI TUTTO..
San Ranieri di Pisa
| |
1118 - 1161
Nacque nel 1118 da Gandulfo Scacceri e Mingarda Buzzacherini. Malgrado gli sforzi dei genitori desiderosi di impartirgli un'educazione rigorosa, visse la giovinezza all'insegna dello svago e del divertimento. Ma a diciannove anni la sua vita cambiò. Fu decisivo l'incontro con Alberto, un eremita proveniente dalla Corsica che si era stabilito nel monastero pisano di San Vito. Scelse quindi di abbracciare in pienezza la fede, tanto da partire per la Terra Santa. A 23 anni decise di vivere in assoluta povertà, liberandosi di tutte le ricchezze per darle ai poveri. Trascorse un lungo periodo presso gli eremiti di Terra Santa vivendo esclusivamente di elemosine. Mangiava due volte alla settimana sottoponendo il suo corpo a grandi sacrifici. Tornato a Pisa nel 1154, circondato dalla fama di santità, vi operò miracoli, così come aveva fatto in Terra Santa. Morì venerdì 17 giugno 1161. Nel 1632 venne eletto patrono principale della diocesi e della città di Pisa. (Avvenire)
Patronato: Pisa
Etimologia: Ranieri = invincibile guerriero, dal tedesco
Emblema: Pilurica, acqua
Martirologio Romano: A Pisa, san Raniero, povero e pellegrino per Cristo.
| |
Ranieri nacque l'anno 1118. I genitori, Gandulfo Scacceri e Mingarda Buzzaccherini che appartenevano entrambi a famiglie benestanti, decisero di affiancare negli studi del loro unico figlio don Enrico di San Martino in Kinzica. Ma Ranieri, particolarmente dotato per la musica (imparò a suonare la lira) e per il canto, preferiva i divertimenti e gli svaghi agli studi e agli impegni. A nulla valsero gli sforzi dei genitori di ricondurlo ad un comportamento più cristiano: il giovane pisano trascorse la sua giovinezza trascurando gli insegnamenti dei genitori e quelli di don Enrico.
Fu all'età di 19 anni che Ranieri decise di cambiare radicalmente vita. L'incontro con un eremita di nome Alberto, proveniente dalla Corsica e stabilitosi nel monastero pisano di S. Vito, lo spinse ad abbracciare con convinzione la fede cristiana e porsi così al servizio di Dio. Ricevuto da Dio l'invito a recarsi in terra Santa, Ranieri partì senza indugio. All'età di 23 anni decise di vivere in assoluta povertà: si liberò di tutte le ricchezze e le donò ai poveri e ai bisognosi. L'unica sua preoccupazione rimase quella di imitare meglio possibile il suo maestro, Gesù Cristo. Indossata la veste del penitente consegnata a tutti i pellegrini che si recavano al monte Calvario, la pilurica, trascorse un lungo periodo presso gli eremiti in Terra Santa, dove compì numerosi miracoli. Punì il suo corpo con lunghi digiuni, astenendosi normalmente dal cibo tutti i giorni della settimana esclusi il giovedì e la domenica, cercando di vincere l'orgoglio personale dovuto alla fama che già lo circondava presso i fedeli. La rinuncia a sé e il totale servizio a Dio gli consentirono di superare le numerose tentazioni che il maligno non gli fece mai mancare nei 13 anni di soggiorno in Terra Santa. Tornato a Pisa nel 1154 già circondato dalla fama di santo, continuò ad operare miracoli anche nella città natale: l'ammirazione dei suoi concittadini non poteva che accompagnarlo fino all'ultimo giorno di vita. Ranieri morì dopo sette anni dal suo rientro dalla Terra Santa, venerdì 17 giugno 1161. Agli occhi dei pisani, Ranieri fu santo già in vita. Una volta abbandonata la vita terrena, un suo discepolo, il canonico Benincasa, si incaricò di scrivere nel 1162 una Vita del santo, testo che conobbe una certa fortuna per la traduzione del carmelitano fra Giuseppe Maria Sanminiatelli del 1755 e nuovamente edita sempre a Pisa nel 1842. Laico, come numerosi santi di quel secolo, Ranieri fu ricordato dai pisani anche per l'abitudine del santo di donare a chi gli si rivolgeva pane e acqua benedetti, ragione per la quale il canonico Benincasa chiamava il santo "Ranieri dall'Acqua" (forse immaginandone il cognome, ma certamente attestando l'abitudine dei prodigi per mezzo dell'acqua da lui benedetta). Nel 1632 l'Arcivescovo di Pisa, il Clero locale, il Magistrato pisano, coll'annuenza della sacra Congregazione dei Riti elessero Ranieri patrono principale della città e della diocesi. Il 1689 venne decisa la traslazione del suo corpo, che fu definitivamente collocato sull'altare maggiore. Durante la notte della traslazione i pisani illuminarono le loro case per rendere omaggio alla figura del loro santo più amato. |
San Ranieri Patrono di Pisa
San Ranieri Patrono di Pisa
SAN RANIERI PATRONO DI PISA
a cura di Gabriele Zaccagnini
A sinistra: una celebre raffigurazione di San Ranieri ad opera di Giovan Battista Tempesti (Volterra , 1729-Pisa,1804)
A destra: “Viaggio di ritorno della Terrasanta” opera di Andrea di Bonaiuto (XIV sec.), Pisa, Camposanto Monumentale
A destra: “Viaggio di ritorno della Terrasanta” opera di Andrea di Bonaiuto (XIV sec.), Pisa, Camposanto Monumentale
L’unica fonte attendibile su san Ranieri è la Vita scritta dal canonico Benincasa, amico e discepolo del santo. Il testo ci è pervenuto in due redazioni o stesure. La prima è testimoniata dal manoscritto C181 dell’Archivio Capitolare di Pisa, la seconda, più breve e posteriore, dal ms. cartaceo Ar 7/23 della Biblioteca del Convento della Ss. Trinità dei padri Cappuccini di Livorno. Della prima redazione esistono numerose trascrizioni e traduzioni, a stampa e manoscritte.
Pur trattandosi di un testo agiografico, il cui scopo principale è quello di tracciare un profilo spirituale del santo, la Vita Raynerii ci consente di definire, con un buon grado di sicurezza storica, le tappe dell'esistenza terrena di san Ranieri.
Il padre si chiamava Glandolfo e la madre Mingarda. Il cognome, Scaccieri, compare per la prima volta nel sec. XVI, insieme al cognome della madre, Buzzaccherini, ma entrambi non hanno alcun riscontro documentario. La Vita non ricorda nemmeno l’anno di nascita, tuttavia l’analisi antropologica condotta sui resti mortali del santo dal prof. Francesco Mallegni, nel 2000, ha accertato che Ranieri è vissuto 40-45 anni. Ora, poiché conosciamo la data di morte, fissata dal Benincasa nel quindicesimo giorno delle calende di luglio dell’anno 1161 (stile pisano), cioè il 17 giugno 1160, ne consegue che l’anno di nascita deve essere fissato fra il 1115 e il 1120.
Il padre era un mercante e risiedeva nel quartiere di Kinzica. Non aveva fratelli ma una sorella, di nome Bella. Della giovinezza del santo sappiamo poco o nulla. Nemmeno Benincasa, probabilmente, ne sapeva molto e comunque ha preferito tacere, anche perché, forse, non era una storia molto edificante. I genitori, per esempio, lo incolpavano di passare troppo spesso la notte fuori casa, a gozzovigliare per le strade di Pisa. Di certo Ranieri amava la bella vita e la compagnia dei suoi coetanei. Era un abile suonatore di ghironda, uno strumento a corda simile a un violino, in cui una ruota ricoperta di pece, azionata da una manovella, produceva il suono sfregando le corde, la cui altezza variava grazie ad alcuni tasti che si trovavano sul corpo dello strumento. Benincasa ci descrive il giovane Ranieri nell’atto di cantare accompagnandosi con la “lyra seu rota”, la ghironda appunto.
Per la conversione di Ranieri fu determinante l'incontro con Alberto Leccapecore: ne è perfettamente consapevole lo stesso Benincasa, che dedica ad Alberto un lungo capitolo della Vita di Ranieri, una vera e propria Vita nella Vita. Alberto era un nobile còrso che, dopo aver assistito alla morte del fratello durante uno scontro armato, decise di abbandonare tutti i suoi beni e di darsi a una vita di penitenza. Ranieri lo vide per la prima volta mentre si trovava a casa di una parente in un luogo detto Arsiccio, un toponimo generico (allude a un terreno bruciato, arso), tradizionalmente identificato con la zona corrispondente all’attuale Cisanello, ma potrebbe ragionevolmente collocarsi anche dalla parte opposta della città, verso la zona di Barbaricina. Appena vide Alberto, Ranieri gli corse dietro per parlargli, ma non riuscì a raggiungerlo che in S.Vito. E qui avvenne il colloquio che cambiò la sua vita. Alberto, fra l'altro, invitò Ranieri e recarsi dal priore di S.Jacopo “in Orticaria”, un sacerdote di provata esperienza, per una completa confessione dei suoi peccati, in seguito alla quale visse un periodo di profondo travaglio interiore, che i genitori pensarono fosse dovuto a infermità mentale. In seguito, pur profondamente trasformato, riprese la vita consueta, intensificando però le pratiche religiose. Quindi partì per l'Oriente, “per ragioni di commercio e di guadagno”, scrive Benincasa, cioè come mercante, professione che, giunto a destinazione, continuò ad esercitare per quattro anni. Poi venne la chiamata divina e abbandonò tutto per seguirla, recandosi prima a Tiro e poi a Gerusalemme. Appena arrivato nella Città Santa, andò nella cappella del Golgotha, all’interno della basilica del Santo Sepolcro, dove si spogliò delle ricche vesti e indossò l’abito del penitente, cioè la pilurica o sclavinia. Era un venerdì santo, probabilmente del 1140. Da quel momento si dedicò alla preghiera e alla meditazione sulla vita di Gesù. Visitò anche i principali luoghi santi, come Betlemme, Nazareth, il Tabor, il Monte della Quarantena, ma per gran parte del periodo trascorso in Terrasanta preferì risiedere presso la basilica del Santo Sepolcro, dedicandosi giorno e notte alla preghiera.
Dopo molti anni, Ranieri sentì il bisogno di tornare a Pisa per raccontare ai concittadini la sua esperienza spirituale, per comunicare loro ciò che aveva udito dalla viva voce di Dio e per assumere, in loro favore, il ruolo di intercessore, di predicatore e di pacificatore. Poi venne un esplicito mandato divino e la decisione divenne definitiva.
Così si imbarcò ad Accon sulla galea di Ranieri Bottaccio, che era stato inviato dal Comune pisano come ambasciatore presso il califfato d’Egitto, e tornò a Pisa. Era il 1154.
Non si può affermare, sulla base della Vita, che Ranieri, al ritorno da Gerusalemme, abbia avuto un’accoglienza trionfale da parte dei pisani. Certamente già prima del suo arrivo si era sparsa la voce della sua santità: Benincasa, infatti, afferma che a Gerusalemme, negli ultimi tempi del suo soggiorno, Ranieri incontrava spesso i pisani, parlava con loro e chiedeva notizie della sua città. E chiaro che costoro, tornati a Pisa, raccontavano certamente la storia del loro concittadino Ranieri che si era distinto per una vita esemplare. Tuttavia la Vita dice solo che il santo fu accolto con grandi onori dai Canonici del Duomo, che lo invitarono a pranzo e ascoltarono, riuniti in Capitolo, un suo discorso.
Per un anno fu ospitato dai monaci vittorini di S. Andrea in Kinzica. Qui, dodici mesi esatti dopo il suo arrivo, cominciarono improvvisamente ad arrivare i primi devoti, attirati dal manifestarsi dei suoi poteri taumaturgici. Poi, per ispirazione divina, decise di tornare in S.Vito, dove era avvenuto l'incontro con Alberto che aveva cambiato la sua vita. Non vi entrò, però, come religioso, né come converso o oblato, ma rimase laico.
Trascorse gli ultimi anni della sua vita dedicandosi intensamente a una predicazione di carattere morale-esortativo e ricevendo, in S.Vito, un numero enorme di devoti e ammiratori, che si recavano da lui per ascoltarlo – spesso, dice Benincasa, stavano davanti a S.Vito tutto il giorno, anche durante la calura estiva – sperando magari di beneficiare di uno dei numerosissimi miracoli che lo resero famoso.
Alla taumaturgia di Ranieri è dedicato il Libellus miraculorum inserito da Benincasa nella seconda parte della sua opera, costituita dal racconto di 136 miracoli, gran parte dei quali avvenuti dopo la morte. Si tratta soprattutto di guarigioni, ma c’è anche un buon numero di miracoli a favore di naviganti. I beneficiari sono prevalentemente populares, cioè rappresentanti dei ceti minori, lavoratori, artigiani e professionisti. Pochi, invece, i nobili. Molti miracoli avvengono per mezzo dell’acqua, benedetta da Ranieri mentre era in vita e dai custodi della sua tomba, in cattedrale, dopo la morte.
Benincasa non racconta come avvenne la morte di Ranieri, ma fa un resoconto abbastanza accurata delle solenni esequie, presenti l'arcivescovo Villano, tutto il clero pisano e una folla enorme, che si conclusero con la sepoltura. Era il 17 giugno 1160.
L’esperienza spirituale di Ranieri si colloca in un momento storico, il secolo XII, durante il quale i laici, dopo quasi un millennio di marginalizzazione, riscoprirono il loro carisma, la loro funzione, la loro identità di membra vive della Chiesa, sentendo di nuovo il bisogno di pregare, di avvicinarsi alla Bibbia (soprattutto ai Vangeli), di impegnarsi nell’apostolato, di partecipare attivamente alla liturgia e alla vita della Chiesa. Di questa grande “rivoluzione” Ranieri, insieme ad Alberto, è forse il più precoce e autorevole testimone. Egli scelse una via alternativa alla vita religiosa non per una forma di dissenso o di critica ma semplicemente perché questa non era la sua vocazione. E' un fatto accertato, in ogni caso, che la spiritualità monastica tradizionale non rispondeva più alla domanda di rinnovamento proveniente dalla società di quel periodo, soprattutto dai ceti inferiori, anche perché la conversatio morum, fondamento della vita monastica, era allora intesa esclusivamente nell’accezione specifica di “cambiamento di vita” e postulava la fuga dal mondo e l’ingresso in monastero, dove era possibile realizzare gli altri due obbiettivi del percorso spirituale benedettino, la stabilitas loci e l’oboedientia. Una fuga che si fondava, per molti, sul disprezzo delle cose terrene, sul contemptus mundi. In Ranieri ci troviamo davanti a un cambiamento di prospettiva: dal colloquio con Alberto in poi, la sua vita fu sì una graduale e irreversibile conversatio morum, ma nell’accezione evangelica di metànoia, che significa ravvedersi, cambiare modo di pensare e di vivere, non cambiare stato civile. Questo modo di convertirsi non richiedeva più la fuga dal mondo ma l’impegno nel mondo e non si fondava sul disprezzo della realtà, del creato e della società, ma solo sul ripudio di ciò che nella società e nell’uomo era contrario al progetto di Dio e agli insegnamenti di Gesù.
Solo cinque anni dopo la morte ebbe luogo la prima traslazione, in un sepolcro donato dal Comune, segno della crescente popolarità del santo e della devozione dei pisani. Il dies natalis, cioè il giorno della morte di Ranieri diventò subito una festa importante per la Chiesa pisana. Già nella Vita si ricorda che la ricorrenza annuale del 17 giugno era preceduta da una celebrazione vigilare.
Nel secolo XIII si moltiplicano i “segni” della devozione a san Ranieri: chiese e oratori, ospedali, confraternite attestano l’ormai avvenuto radicamento del culto e la sua progressiva espansione. Nel 1286 il Comune interviene per regolamentare la festa. Nel Breve Pisani Communis di quell’anno si stabilisce l’obbligo di osservare la ricorrenza del 17 giugno.
Agli inizi del secolo XIV, fu costruito un nuovo e grandioso sepolcro, capolavoro di Tino di Camaino, completato nel 1306. L’opera, che era costituita da un sarcofago tripartito a bassorilievo poggiato su mensole, sovrastato da un frontone, fu collocata originariamente nella parete sud del transetto destro, ed è attualmente conservata nel Museo dell’Opera.
Alla seconda metà del secolo XIV risalgono le “Storie di san Ranieri” affrescate nel Camposanto Monumentale da Andrea di Buonaiuto da Firenze e, dopo la sua morte (1378), da Antonio di Francesco, meglio noto come Antonio Veneziano, con cartigli che ne illustravano il significato. Le scene del ciclo di san Ranieri affrescate su due registri da Andrea di Bonaiuto, lungo il corridoio sud, avevano per soggetto “La conversione”, “San Ranieri in Terra Santa”, “Le tentazioni e i miracoli in Terra Santa”; quelle di Antonio Veneziano riguardavano “Il ritorno a Pisa”, “La morte e i funerali” e, infine “I miracoli postumi”. Due grandi sequenze, che seguono esattamente lo schema della Vita, percepita quindi come divisa in due parti: conversione – viaggio in Terrasanta; ritorno a Pisa – morte e miracoli. Se ne discostano principalmente per il racconto del miracolo dell’oste disonesto, avvenuto, secondo una tradizione risalente proprio al periodo in cui furono eseguiti gli affreschi, a Messina o Gaeta.
Pur trattandosi di un testo agiografico, il cui scopo principale è quello di tracciare un profilo spirituale del santo, la Vita Raynerii ci consente di definire, con un buon grado di sicurezza storica, le tappe dell'esistenza terrena di san Ranieri.
Il padre si chiamava Glandolfo e la madre Mingarda. Il cognome, Scaccieri, compare per la prima volta nel sec. XVI, insieme al cognome della madre, Buzzaccherini, ma entrambi non hanno alcun riscontro documentario. La Vita non ricorda nemmeno l’anno di nascita, tuttavia l’analisi antropologica condotta sui resti mortali del santo dal prof. Francesco Mallegni, nel 2000, ha accertato che Ranieri è vissuto 40-45 anni. Ora, poiché conosciamo la data di morte, fissata dal Benincasa nel quindicesimo giorno delle calende di luglio dell’anno 1161 (stile pisano), cioè il 17 giugno 1160, ne consegue che l’anno di nascita deve essere fissato fra il 1115 e il 1120.
Il padre era un mercante e risiedeva nel quartiere di Kinzica. Non aveva fratelli ma una sorella, di nome Bella. Della giovinezza del santo sappiamo poco o nulla. Nemmeno Benincasa, probabilmente, ne sapeva molto e comunque ha preferito tacere, anche perché, forse, non era una storia molto edificante. I genitori, per esempio, lo incolpavano di passare troppo spesso la notte fuori casa, a gozzovigliare per le strade di Pisa. Di certo Ranieri amava la bella vita e la compagnia dei suoi coetanei. Era un abile suonatore di ghironda, uno strumento a corda simile a un violino, in cui una ruota ricoperta di pece, azionata da una manovella, produceva il suono sfregando le corde, la cui altezza variava grazie ad alcuni tasti che si trovavano sul corpo dello strumento. Benincasa ci descrive il giovane Ranieri nell’atto di cantare accompagnandosi con la “lyra seu rota”, la ghironda appunto.
Per la conversione di Ranieri fu determinante l'incontro con Alberto Leccapecore: ne è perfettamente consapevole lo stesso Benincasa, che dedica ad Alberto un lungo capitolo della Vita di Ranieri, una vera e propria Vita nella Vita. Alberto era un nobile còrso che, dopo aver assistito alla morte del fratello durante uno scontro armato, decise di abbandonare tutti i suoi beni e di darsi a una vita di penitenza. Ranieri lo vide per la prima volta mentre si trovava a casa di una parente in un luogo detto Arsiccio, un toponimo generico (allude a un terreno bruciato, arso), tradizionalmente identificato con la zona corrispondente all’attuale Cisanello, ma potrebbe ragionevolmente collocarsi anche dalla parte opposta della città, verso la zona di Barbaricina. Appena vide Alberto, Ranieri gli corse dietro per parlargli, ma non riuscì a raggiungerlo che in S.Vito. E qui avvenne il colloquio che cambiò la sua vita. Alberto, fra l'altro, invitò Ranieri e recarsi dal priore di S.Jacopo “in Orticaria”, un sacerdote di provata esperienza, per una completa confessione dei suoi peccati, in seguito alla quale visse un periodo di profondo travaglio interiore, che i genitori pensarono fosse dovuto a infermità mentale. In seguito, pur profondamente trasformato, riprese la vita consueta, intensificando però le pratiche religiose. Quindi partì per l'Oriente, “per ragioni di commercio e di guadagno”, scrive Benincasa, cioè come mercante, professione che, giunto a destinazione, continuò ad esercitare per quattro anni. Poi venne la chiamata divina e abbandonò tutto per seguirla, recandosi prima a Tiro e poi a Gerusalemme. Appena arrivato nella Città Santa, andò nella cappella del Golgotha, all’interno della basilica del Santo Sepolcro, dove si spogliò delle ricche vesti e indossò l’abito del penitente, cioè la pilurica o sclavinia. Era un venerdì santo, probabilmente del 1140. Da quel momento si dedicò alla preghiera e alla meditazione sulla vita di Gesù. Visitò anche i principali luoghi santi, come Betlemme, Nazareth, il Tabor, il Monte della Quarantena, ma per gran parte del periodo trascorso in Terrasanta preferì risiedere presso la basilica del Santo Sepolcro, dedicandosi giorno e notte alla preghiera.
Dopo molti anni, Ranieri sentì il bisogno di tornare a Pisa per raccontare ai concittadini la sua esperienza spirituale, per comunicare loro ciò che aveva udito dalla viva voce di Dio e per assumere, in loro favore, il ruolo di intercessore, di predicatore e di pacificatore. Poi venne un esplicito mandato divino e la decisione divenne definitiva.
Così si imbarcò ad Accon sulla galea di Ranieri Bottaccio, che era stato inviato dal Comune pisano come ambasciatore presso il califfato d’Egitto, e tornò a Pisa. Era il 1154.
Non si può affermare, sulla base della Vita, che Ranieri, al ritorno da Gerusalemme, abbia avuto un’accoglienza trionfale da parte dei pisani. Certamente già prima del suo arrivo si era sparsa la voce della sua santità: Benincasa, infatti, afferma che a Gerusalemme, negli ultimi tempi del suo soggiorno, Ranieri incontrava spesso i pisani, parlava con loro e chiedeva notizie della sua città. E chiaro che costoro, tornati a Pisa, raccontavano certamente la storia del loro concittadino Ranieri che si era distinto per una vita esemplare. Tuttavia la Vita dice solo che il santo fu accolto con grandi onori dai Canonici del Duomo, che lo invitarono a pranzo e ascoltarono, riuniti in Capitolo, un suo discorso.
Per un anno fu ospitato dai monaci vittorini di S. Andrea in Kinzica. Qui, dodici mesi esatti dopo il suo arrivo, cominciarono improvvisamente ad arrivare i primi devoti, attirati dal manifestarsi dei suoi poteri taumaturgici. Poi, per ispirazione divina, decise di tornare in S.Vito, dove era avvenuto l'incontro con Alberto che aveva cambiato la sua vita. Non vi entrò, però, come religioso, né come converso o oblato, ma rimase laico.
Trascorse gli ultimi anni della sua vita dedicandosi intensamente a una predicazione di carattere morale-esortativo e ricevendo, in S.Vito, un numero enorme di devoti e ammiratori, che si recavano da lui per ascoltarlo – spesso, dice Benincasa, stavano davanti a S.Vito tutto il giorno, anche durante la calura estiva – sperando magari di beneficiare di uno dei numerosissimi miracoli che lo resero famoso.
Alla taumaturgia di Ranieri è dedicato il Libellus miraculorum inserito da Benincasa nella seconda parte della sua opera, costituita dal racconto di 136 miracoli, gran parte dei quali avvenuti dopo la morte. Si tratta soprattutto di guarigioni, ma c’è anche un buon numero di miracoli a favore di naviganti. I beneficiari sono prevalentemente populares, cioè rappresentanti dei ceti minori, lavoratori, artigiani e professionisti. Pochi, invece, i nobili. Molti miracoli avvengono per mezzo dell’acqua, benedetta da Ranieri mentre era in vita e dai custodi della sua tomba, in cattedrale, dopo la morte.
Benincasa non racconta come avvenne la morte di Ranieri, ma fa un resoconto abbastanza accurata delle solenni esequie, presenti l'arcivescovo Villano, tutto il clero pisano e una folla enorme, che si conclusero con la sepoltura. Era il 17 giugno 1160.
L’esperienza spirituale di Ranieri si colloca in un momento storico, il secolo XII, durante il quale i laici, dopo quasi un millennio di marginalizzazione, riscoprirono il loro carisma, la loro funzione, la loro identità di membra vive della Chiesa, sentendo di nuovo il bisogno di pregare, di avvicinarsi alla Bibbia (soprattutto ai Vangeli), di impegnarsi nell’apostolato, di partecipare attivamente alla liturgia e alla vita della Chiesa. Di questa grande “rivoluzione” Ranieri, insieme ad Alberto, è forse il più precoce e autorevole testimone. Egli scelse una via alternativa alla vita religiosa non per una forma di dissenso o di critica ma semplicemente perché questa non era la sua vocazione. E' un fatto accertato, in ogni caso, che la spiritualità monastica tradizionale non rispondeva più alla domanda di rinnovamento proveniente dalla società di quel periodo, soprattutto dai ceti inferiori, anche perché la conversatio morum, fondamento della vita monastica, era allora intesa esclusivamente nell’accezione specifica di “cambiamento di vita” e postulava la fuga dal mondo e l’ingresso in monastero, dove era possibile realizzare gli altri due obbiettivi del percorso spirituale benedettino, la stabilitas loci e l’oboedientia. Una fuga che si fondava, per molti, sul disprezzo delle cose terrene, sul contemptus mundi. In Ranieri ci troviamo davanti a un cambiamento di prospettiva: dal colloquio con Alberto in poi, la sua vita fu sì una graduale e irreversibile conversatio morum, ma nell’accezione evangelica di metànoia, che significa ravvedersi, cambiare modo di pensare e di vivere, non cambiare stato civile. Questo modo di convertirsi non richiedeva più la fuga dal mondo ma l’impegno nel mondo e non si fondava sul disprezzo della realtà, del creato e della società, ma solo sul ripudio di ciò che nella società e nell’uomo era contrario al progetto di Dio e agli insegnamenti di Gesù.
Solo cinque anni dopo la morte ebbe luogo la prima traslazione, in un sepolcro donato dal Comune, segno della crescente popolarità del santo e della devozione dei pisani. Il dies natalis, cioè il giorno della morte di Ranieri diventò subito una festa importante per la Chiesa pisana. Già nella Vita si ricorda che la ricorrenza annuale del 17 giugno era preceduta da una celebrazione vigilare.
Nel secolo XIII si moltiplicano i “segni” della devozione a san Ranieri: chiese e oratori, ospedali, confraternite attestano l’ormai avvenuto radicamento del culto e la sua progressiva espansione. Nel 1286 il Comune interviene per regolamentare la festa. Nel Breve Pisani Communis di quell’anno si stabilisce l’obbligo di osservare la ricorrenza del 17 giugno.
Agli inizi del secolo XIV, fu costruito un nuovo e grandioso sepolcro, capolavoro di Tino di Camaino, completato nel 1306. L’opera, che era costituita da un sarcofago tripartito a bassorilievo poggiato su mensole, sovrastato da un frontone, fu collocata originariamente nella parete sud del transetto destro, ed è attualmente conservata nel Museo dell’Opera.
Alla seconda metà del secolo XIV risalgono le “Storie di san Ranieri” affrescate nel Camposanto Monumentale da Andrea di Buonaiuto da Firenze e, dopo la sua morte (1378), da Antonio di Francesco, meglio noto come Antonio Veneziano, con cartigli che ne illustravano il significato. Le scene del ciclo di san Ranieri affrescate su due registri da Andrea di Bonaiuto, lungo il corridoio sud, avevano per soggetto “La conversione”, “San Ranieri in Terra Santa”, “Le tentazioni e i miracoli in Terra Santa”; quelle di Antonio Veneziano riguardavano “Il ritorno a Pisa”, “La morte e i funerali” e, infine “I miracoli postumi”. Due grandi sequenze, che seguono esattamente lo schema della Vita, percepita quindi come divisa in due parti: conversione – viaggio in Terrasanta; ritorno a Pisa – morte e miracoli. Se ne discostano principalmente per il racconto del miracolo dell’oste disonesto, avvenuto, secondo una tradizione risalente proprio al periodo in cui furono eseguiti gli affreschi, a Messina o Gaeta.
A sinistra:vecchio altare di San Ranieri scolpito da Tino di Camaino, 1305, Museo dell’ Opera del Duomo di Pisa.A destra: l’urna attuale nel transetto sud della Cattedrale
Nel 1624 l’arcivescovo Giuliano de’ Medici commissionò un busto–reliquiario, poi ultimato da Giovanni Zucchetti nel 1628, mentre cinque anni dopo, nel 1629, troviamo il primo atto formale relativo al culto di san Ranieri: si tratta di un decreto dei canonici della Primaziale in cui si chiede il riconoscimento della festa di san Ranieri come di precetto per l’intera diocesi, ma senza un rilievo particolare, giacché il nome del santo è associato a quello di altri santi pisani, Torpé, Efisio e Potito, la festa della Dedicazione della Cattedrale, i Quaranta martiri di Sebaste e altri.
Per incontrare un atto specifico e ufficiale relativo al solo san Ranieri bisogna aspettare il 1664, quando la Sacra Congregazione per i Riti approvò l’orazione propria e le tre lectiones tratte dalla Vita di Benincasa da Valerio Chimentelli e presentate ufficialmente dall’arcivescovo di Pisa Francesco Pannocchieschi d’Elci.
Nel 1730, il Capitolo della Primaziale e l'arcivescovo Francesco Frosini presentarono di nuovo alla Sacra Congregazione dei Riti i testi dell'Uffici e della Messa propria, con ottava, ottenendone l’approvazione nel 1731. Nel 1779 furono approvate le antifone per il Benedictus e il Magnificat, mentre nel 1796 l’abate Ranieri Tempesti scrisse un nuovo Ufficio di san Ranieri che fu presentato all’arcivescovo e quindi inviato alla Congregazione dei Riti per l’approvazione, che arrivò dopo un ventennio, il 18 settembre 1814. Ulteriori modifiche furono apportate nel 1955, nel 1960, nel 1981.
La più antica ricognizione eseguita con il fine di descrivere il materiale anatomico esistente sembra sia quella del 9 maggio 1591, ma la relazione che ne è scaturita è assai sommaria; mentre la prima di cui si abbia un resoconto accurato è quella avvenuta nel corso della traslazione delle ossa di Ranieri nel nuovo altare di G.B. Foggini, del marzo 1688, i cui atti furono rogati dal notaio Pietro dal Poggio e pubblicati dai Bollandisti. Nel corso di questa ricognizione venne compilato il primo elenco dei reperti anatomici e fu ricomposto il corpo, per opera del chirurgo aretino Giovanni Caldesi, che constatò la mancanza di numerose ossa. Nessun’altra ricognizione ufficiale venne effettuata fino al secolo XX, quando ne furono effettuate ben tre, nel 1938, nel 1960 e nel 2000. Nel corso di quest'ultima è stata effettuata una accurata indagine antropologica ad opera del prof. Francesco Mallegni.
Il culto di Ranieri è sostanzialmente circoscritto alla Diocesi di Pisa e alle immediate adiacenze. Tuttavia esistono tracce di devozione sparse un po’ ovunque e legate alla presenza di comunità pisane o al dono di reliquie del santo. Chiese e cappelle dedicate a Ranieri si trovano a Messina (la penisola falciforme che ne chiude il porto è detta “Braccio di S.Ranieri”), a Palermo, Montemaggiore (Corsica), Villamassargia ( Sardegna); e ancora a Roma, Firenze, Livorno, Genova e perfino fuori dall’Italia, nelle Fiandre, in Germania, in Dalmazia.
Per incontrare un atto specifico e ufficiale relativo al solo san Ranieri bisogna aspettare il 1664, quando la Sacra Congregazione per i Riti approvò l’orazione propria e le tre lectiones tratte dalla Vita di Benincasa da Valerio Chimentelli e presentate ufficialmente dall’arcivescovo di Pisa Francesco Pannocchieschi d’Elci.
Nel 1730, il Capitolo della Primaziale e l'arcivescovo Francesco Frosini presentarono di nuovo alla Sacra Congregazione dei Riti i testi dell'Uffici e della Messa propria, con ottava, ottenendone l’approvazione nel 1731. Nel 1779 furono approvate le antifone per il Benedictus e il Magnificat, mentre nel 1796 l’abate Ranieri Tempesti scrisse un nuovo Ufficio di san Ranieri che fu presentato all’arcivescovo e quindi inviato alla Congregazione dei Riti per l’approvazione, che arrivò dopo un ventennio, il 18 settembre 1814. Ulteriori modifiche furono apportate nel 1955, nel 1960, nel 1981.
La più antica ricognizione eseguita con il fine di descrivere il materiale anatomico esistente sembra sia quella del 9 maggio 1591, ma la relazione che ne è scaturita è assai sommaria; mentre la prima di cui si abbia un resoconto accurato è quella avvenuta nel corso della traslazione delle ossa di Ranieri nel nuovo altare di G.B. Foggini, del marzo 1688, i cui atti furono rogati dal notaio Pietro dal Poggio e pubblicati dai Bollandisti. Nel corso di questa ricognizione venne compilato il primo elenco dei reperti anatomici e fu ricomposto il corpo, per opera del chirurgo aretino Giovanni Caldesi, che constatò la mancanza di numerose ossa. Nessun’altra ricognizione ufficiale venne effettuata fino al secolo XX, quando ne furono effettuate ben tre, nel 1938, nel 1960 e nel 2000. Nel corso di quest'ultima è stata effettuata una accurata indagine antropologica ad opera del prof. Francesco Mallegni.
Il culto di Ranieri è sostanzialmente circoscritto alla Diocesi di Pisa e alle immediate adiacenze. Tuttavia esistono tracce di devozione sparse un po’ ovunque e legate alla presenza di comunità pisane o al dono di reliquie del santo. Chiese e cappelle dedicate a Ranieri si trovano a Messina (la penisola falciforme che ne chiude il porto è detta “Braccio di S.Ranieri”), a Palermo, Montemaggiore (Corsica), Villamassargia ( Sardegna); e ancora a Roma, Firenze, Livorno, Genova e perfino fuori dall’Italia, nelle Fiandre, in Germania, in Dalmazia.
*SAN PIETRO GAMBACORTA 1355-1435 (festa 17giugno) Approfondisci..
*BEATO EUGENIO III, PAPA
Nacque a Montemagno di Calci.Divenuto sacerdote fu canonico della Metropolitana di Pisa.Discepolo di S.Bernardo, vestì l'abito monastico a Chiaravalle. Papa Innocenzo II
lo fece abate del monastero dei santi Vincenzo e Anastasio "ad Aquas Salvias".Fu eletto papa alla morte di Lucio II.A lui il suo maestro S.Bernardo inviò la celebre lettera "De consideratione", proponendogli i metodi da tenere nel governo della Chiesa.
Beato Eugenio III Papa
| |
XII secolo - m. 1153
(Papa dal 18/02/1145 al 08/07/1153)
Entrò nell'ordine cistercense e, eletto papa, si prefisse di restaurare l'autorità pontificia minacciata da Arnaldo da Brescia, di difendere la Chiesa contro la minaccia dei Turchi, di riformare la Chiesa e la curia romana. Egli stesso diede esempio di una spiritualità in cui l'austerità della vita monastica si conciliava con la carica di pontefice.
Etimologia: Eugenio = ben nato, di nobile stirpe, dal greco
Martirologio Romano: A Tivoli nel Lazio, transito del beato Eugenio III, papa, che fu diletto discepolo di san Bernardo; dopo aver retto da abate il monastero dei Santi Vincenzo e Anastasio alle Acque Salvie, eletto alla sede di Roma, si adoperò con impegno per difendere il popolo cristiano dell’Urbe dalle insidie dell’eresia e rinnovare la disciplina ecclesiastica.
| |
S. Bernardo così scriveva ai cardinali dopo l'elezione Eugenio III, monaco del suo Ordine: "La sua tenera verecondia è avvezza più al ritiro alla quiete che alla trattazione delle cose esteriori ed è da temere che non sappia compiere gli uffici del suo apostolato con la necessaria autorità". Il timore che il mite pontefice (Pier Bernardo, nato da nobile famiglia a Montemagno, presso Pisa, e entrato nell'ordine cistercense dopo l'incontro con S. Bernardo nel 1138) non fosse all'altezza della situazione era condivisa da molti. Ma il Signore - scrive il card. Bosone, suo contemporaneo e biografo - gli concesse tale scienza e facondia, tale liberalità e forza nell'amministrazione della giustizia che superò in attività e fama molti suoi antecessori.
Eugenio III resse la Chiesa otto anni e cinque mesi (1145 1153) in un periodo assai difficile. Dopo l'elezione dovette fuggire nottetempo da Roma per farsi incoronare, il 18 febbraio nel monastero di Farfa, sottraendosi così alle intimidazioni del popolo che, sobillato da agitatori come Arnaldo da Brescia, reclamava per Roma le libere istituzioni comunali con elezione diretta dei senatori. Invitato da S. Bernardo, si prese a cuore la riforma della Chiesa e della curia romana; si adoperò per la difesa della cristianità contro la minaccia dei Turchi, promuovendo una crociata; presiedette a quattro concili (Parigi, Treviri, Reims e Cremona), promosse gli studi ecclesiastici, difese l'ortodossia, ed egli stesso seppe conciliare l'austerità della vita monastica con le esigenze della dignità papale. Alla sua morte, avvenuta a Tivoli l'8 luglio 1153, il card. Ugo, vescovo di Ostia, così scriveva: "Immacolato emigrò dalla carne sua a Cristo". |
*SAN SISTO II PAPA e martire, è stato patrono principale di Pisa prima di S. Ranieri (festa 6 agosto).Propro nel giorno 6 Agosto, festa della Trasfigurazione del Signore , la città di Pisa ha vissuto dei momenti molto importanti della sua storia( vittoria sui musulmani a Palermo nel 1064,vittoria sulla repubblica marinara di Genova nel 1119 e nel 1262, vittoria su Amalfi nel 1135) fu così che il 6 Agosto divenne per i pisani "lo die di Santo Sisto". E' proprio dalla "decima" derivante dalla vittoriosa impresa del 6 agosto del 1064 che fu iniziata la costruzione della Chiesa Primaziale, edificata sull'area di un tempio più antico dedicato a Santa Reparata.Prima che ne fosse conclusa la costruzione fu consacrata il 26 settembre 1118 da Papa GelasioII e dedicata alla Madonna Assunta. Approfondisci.. ///
San Sisto II e compagni Papa e martiri
7 agosto - Memoria Facoltativa
|
m. 258
(Papa dal 30/08/257 al 06/08/258)
Secondo il Liber Pontificalis fu eletto papa nel 257 alla morte di Stefano I. San Cipriano che lo definisce "sacerdote buono e pacifico", racconta in una lettera al vescovo africano Successo la persecuzione del 258 in seguito al secondo Editto di Valeriano. Questo prevedeva la decapitazione per vescovi, presbiteri e diaconi, e la confisca dei beni della Chiesa, compresi i cimiteri. Da Papa Damaso si sa che Sisto venne sorpreso nel cimitero, probabilmente quello di San Callisto, mentre insegnava la parola divina e fu decapitato con sei dei sette diaconi di Roma (Felicissimo. Agapito, Gennaro, Magno, Vincenzo e Stefano). Il settimo, il protodiacono Lorenzo, fu ucciso tre giorni dopo sulla via Tiburtina. Sisto II è sepolto nel cimitero di S. Callisto presso la cripta Santa Cecilia.
Etimologia: Sisto = variante di Sesto
Emblema: Palma
Martirologio Romano: Santi Sisto II, papa, e compagni, martiri. Il papa Sisto, mentre celebrava i sacri misteri insegnando ai fratelli i precetti divini, per ordine dell’imperatore Valeriano, fu subito arrestato dai soldati sopraggiunti e decapitato il 6 agosto; con lui subirono il martirio quattro diaconi, deposti insieme al pontefice a Roma nel cimitero di Callisto sulla via Appia. Nello stesso giorno anche i santi Agàpito e Felicissimo, suoi diaconi, morirono nel cimitero di Pretestato, dove furono pure sepolti.
(6 agosto: A Roma sulla via Appia nel cimitero di Callisto, passione di san Sisto II, papa e dei suoi compagni, la cui memoria si celebra domani). |
Tradizione:
"Era conveniente che colei che nel parto aveva conservato integra la sua verginità conservasse integro da corruzione il suo corpo dopo la morte. Era conveniente che colei che aveva portato nel seno il Creatore fatto bambino abitasse nella dimora divina. Era conveniente che la Sposa di Dio entrasse nella casa celeste. Era conveniente che colei che aveva visto il proprio figlio sulla Croce, ricevendo nel corpo il dolore che le era stato risparmiato nel parto, lo contemplasse seduto alla destra del Padre. Era conveniente che la Madre di Dio possedesse ciò che le era dovuto a motivo di suo figlio e che fosse onorata da tutte le creature quale Madre e schiava di Dio. » | |
(San Giovanni Damasceno) |
Dogma:
Il dogma cattolico è stato proclamato da papa Pio XII il 1º novembre 1950, anno santo, attraverso la costituzione apostolica Munificentissimus Deus (traducibile: "Dio generosissimo").
Questo è il passaggio finale del documento, con la solenne definizione dogmatica:
« Pertanto, dopo avere innalzato ancora a Dio supplici istanze, e avere invocato la luce dello Spirito di Verità, a gloria di Dio onnipotente, che ha riversato in Maria vergine la sua speciale benevolenza a onore del suo Figlio, Re immortale dei secoli e vincitore del peccato e della morte, a maggior gloria della sua augusta Madre e a gioia ed esultanza di tutta la chiesa, per l'autorità di nostro Signore Gesù Cristo, dei santi apostoli Pietro e Paolo e Nostra, pronunziamo, dichiariamo e definiamo essere dogma da Dio rivelato che: l'immacolata Madre di Dio sempre vergine Maria, terminato il corso della vita terrena, fu assunta alla gloria celeste in anima e corpo. Perciò, se alcuno, che Dio non voglia, osasse negare o porre in dubbio volontariamente ciò che da Noi è stato definito, sappia che è venuto meno alla fede divina e cattolica. » | |
(Munificentissimus Deus)
|
PREGHIERA alla Madonna di sotto gli Organi (Patrona di Pisa - Duomo)
di Mons.Giovanni Paolo Benotto, Arcivescovo di Pisa
" Vergine Maria, Madre di Dio e di ogni uomo, che vegli su Pisa e la proteggi,
guarda a noi che ci rivolgiamo fiduciosi alla tua materna intercessione.
Nella Tua immagine scampata alla devastazione del fuoco e venerata con amore dal popolo pisano, Tu ci mostri Cristo tuo Figlio come via che conduce al Padre, come luce che brilla nelle tenebre, come fratello e salvatore di quanti cercano la verità e la vita.
Tu, che ti sei fidata di Dio, ci insegni ad affidarci alla sua volontà e alla sua provvidenza:
nelle nostre difficoltà donaci forza, nelle nostre angosce accresci in noi la speranza;
nei nostri dolori comunicaci la tua gioia.
Il tuo aiuto e il tuo affetto di Madre ci sostengano sulla via del Vangelo perché illuminati da Cristo luce del mondo, lo testimoniamo a quanti incontriamo sul nostro cammino e insieme rendiamo gloria a Dio che vive e regna nei secoli dei secoli. Amen"
* BEATO GIORDANO DA PISA (O DA RIVALTO) (festa 19 agosto)
Professo nell'Ordine Domenicano nel convento di Santa Caterina in Pisa, si distinse per la predicazione. Insegnò teologia a Pisa a Firenze e a Parigi. Morì a Piacenza nel 1311.Il suo corpo fu portato nel convento di Pisa e Gregorio XVI ne concesse il culto sia alla Diocesi che all'Ordine Domenicano.
Beato Giordano da Pisa (o da Rivalto) Domenicano
|
Rivalto, 1260 c. - Piacenza, 19 agosto 1311
Dopo gli studi di filosofia a Parigi, ricevette l'abito nel convento di s. Caterina a Pisa. Dotato di straordinaria memoria (sapeva a mente breviario, messale, bibbia, e la seconda parte della Summa Theologiae di s. Tommaso) mise al servizio di Dio la sua oratoria forbita e persuasiva. I suoi sermoni di eccezionale pregio letterario lo collocarono tra i padri della lingua italiana. A Pisa istituì la confraternita del ss. Salvatore per stimolare la pratica religiosa tra gli uomini. Morì a Piacenza.
Martirologio Romano: A Piacenza, beato Giordano da Pisa, sacerdote dell’Ordine dei Predicatori, che spiegava al popolo in lingua volgare alti concetti con grande semplicità.
|
Nacque probabilmente in Rivalto, castello dellarepubblica pisana, dalla famiglia Orlandini, secondoaltri in Pisa stessa, dalla famiglia da Rivalto, versoil 1260. Dopo avere studiato a Parigi in quellacelebre università, nel 1280 faceva ritorno a Pisaentrando tra i figli di s. Domenico nel conventodi S. Caterina. Fatto il tirocinio, studiò a Pisa, aBologna e nuovamente a Parigi dove dimorò probabilmente tra il 1285 e il 1288. In seguito viaggiò, predicando e studiando, in molte parti d'Europa.
Rientrato in patria, insegnò a Pisa, rivelandosiprofondo filosofo e teologo, nonché santo religioso, poi nello studio generale di S. Maria Novella di Firenze, il più importante centro di studidella provincia romana, di cui nel 1305 fu dichia-rato lettore primario. Possedeva conoscenze assaivaste; fu detto che sapeva più cose lui solo chetutti i religiosi della provincia insieme! Aveva lettogli autori antichi, studiato il greco e l'ebraico egli erano familiari la filosofia e la teologia. Soprattutto conosceva perfettamente i libri sacri edin particolare s. Paolo, e sapeva a mente il Breviario, il Messale, gran parte della S. Scrittura e laSecunda di s. Tommaso d'Aquino. Persuaso che la scienza non basti, si dedicò conogni sforzo al conseguimento delle virtù. Vero mo-dello del predicatore, fece ascoltare la sua vocein molte parti d'Italia e forse, nel 1301, nella stessaGermania ove si recò per assistere al capitologenerale del suo Ordine, che si tenne a Colonia. Predicò fino a cinque volte in un giorno, orain una chiesa, ora in un'altra, all'interno o sullepiazze. Iniziava un sermone al mattino in unachiesa e, sopra lo stesso soggetto, lo continuavaa metà del giorno su una piazza e lo terminava lasera in un'altra chiesa. Il popolo fiorentino, avidodi udirlo, lo seguiva fedelmente ovunque, senza te-nere conto dei disagi che doveva affrontare. Non contenti d'ascoltarlo, vari uditori raccolsero le sue prediche, talvolta trascrivendole ai piedistessi del pulpito come uscivano dalle sue labbra,tal'altra riassumendole. Il suo genere di predicazione era quello inconfondibile degli uomini veramente apostolici: niente sottigliezze, niente ricercatezze, ma una parola evangelica e popolare,ove la verità e la profondità della dottrina sonounite alla semplicità, vivida e vigorosa, dellaforma. Il beato G. ebbe ancora un altro merito: quel-lo della purezza con la quale si esprimeva nellalingua volgare. Seguendo l'uso nuovo, che cominciava allora a diffondersi, egli aveva abbandonatoil latino per predicare unicamente in lingua italiana. Le sue prediche, nonostante la semplicitàtutta primitiva, sono ritenute un monumento prezioso della prosa volgare italiana del Trecento, pur-troppo solo in parte dato alla stampa. Ciò che a lui interessava era la conversionedelle anime. E non mancarono interventi miracolosi da parte di Dio. Un giorno mentre predi-cava davanti ad un pubblico più numeroso delsolito, una croce rossa apparve visibilmente impressa sulla sua fronte e tutti poterono contemplarla. Una vera trasformazione si operò in Firenze;molte persone abbandonarono il vizio e si diederoalla virtù. Le donne, la cui condotta, dal punto divista della modestia, lasciava molto a desiderare,cominciarono a comportarsi secondo la decenza cristiana; scomparvero le inimicizie e si ebbero moltepacificazioni tra Guelfi e Ghibellini. Anche in Pisa, ove lo troviamo in seguito, raccolse gli stessi successi. Vi istituì i Disciplinati,la Confraternita del S.mo Salvatore, detta del Crocione, che ancora oggi sussiste e conserva i suoistatuti primitivi, pieni di saggezza. Dovette accettare di essere predicatore generale nel suo Ordine e poi definitore del conventopisano. I superiori pensavano di chiamarlo ad unodegli incarichi più onorifici di quell'epoca, quellodi maestro nell'Università di Parigi. Il maestro generale Americo da Piacenza gli ordinò di partireper la Francia e salire sulla cattedra del famosoconvento di S. Giacomo. Ma la Provvidenza avevapredisposto diversamente: giunto a Piacenza si ammalò gravemente e il 19 agosto 1311 moriva, assistito dallo stesso maestro generale. La notizia della morte di Giordano suscitò moltodolore in Pisa e i maggiorenti della città si portarono a Piacenza per prenderne il corpo che fusubito oggetto della devozione popolare e la suatomba divenne meta di pellegrinaggi. Nel 1580 ebbe luogo la prima traslazione, nel1686 la seconda ed una terza nel 1785. Gregorio XVI ne approvò il culto nel 1833 e permisela festa nell'Ordine dei Frati Predicatori e nelladiocesi di Pisa il 6 marzo. |
*DEDICAZIONE della CHIESA CATTEDRALE di PISA (festa 26 settembre)
La costruzione della Chiesa Primaziale fu iniziata nel 1064 in seguito alla donazione della "decima" del bottino di guerra derivante dalla vittoriosa impresa di Pisa sui saraceni a Palermo del 6 agosto del 1064. Edificata sull'area di un tempio più antico dedicato a Santa Reparata.Prima che ne fosse conclusa la costruzione fu consacrata il 26 settembre 1118 da Papa GelasioII e dedicata alla Madonna Assunta in Cielo.
Beato Lorenzo da Ripafratta Domenicano
|
Ripafratta, 1373/74 - Pistoia 1456
Già diacono, desideroso di una vita più perfetta, entrò tra i domenicani a Pisa, ricevendo l'abito nel 1396. Come priore, diede impulso alla riforma dell'ordine. Ricoprì anche gli incarichi di maestro dei novizi, insegnante di teologia, predicatore e direttore di anime. Quando Pistoia e Fabriano furono colpite dalla peste, incurante del contagio, si distinse nell'assistere i malati. Padre Lorenzo venne soprannominato "arca di scienza" ma acquistò fama anche per le dure penitenze, vigilie e digiuni, che lo resero un maestro di ascesi. Negli anni di vita soffrì una orribile piaga a una gamba. Sopportò il dolore con edificante pazienza. Morì a Pistoia il 27 settembre 1456. (Avvenire)
Martirologio Romano: A Pistoia, beato Lorenzo da Ripafratta, sacerdote dell’Ordine dei Predicatori, che osservò fedelmente per sessant’anni la disciplina religiosa e fu assiduo nell’ascolto dei peccatori.
|
Lorenzo da Ripafratta era già Diacono quando, desideroso di una vita più perfetta, entrò nell’Ordine Domenicano a Pisa. Si distinse subito per un grande amore all’osservanza regolare, della quale comprendeva tutta l’importanza. In seguito fu uno dei più validi e attivi propagatori della Riforma, che allora ferveva in seno all’Ordine, e che dette tanti frutti di santità e di zelo. Uno dei primi Conventi in cui Lorenzo dispiegò il suo zelo fu quello di Cortona, dove, nominato Maestro dei Novizi, tante anime elette formò alla perfetta vita domenicana, tra le quali Sant’Antonino Pierozzi, futuro Arcivescovo di Firenze. L’imperdonabile negligenza degli antichi cronisti, pochissimo ci ha tramandato di questo grande religioso, ma possediamo una lettera di Sant’Antonino, inviata ai padri di Pistoia alla sua morte, nella quale egli paragona il suo santo maestro a San Paolo e ad Elia. Lo chiama “arca di scienza”, dicendo che fu vergine di corpo e di mente, che amava crocifiggere la sua carne con asprissime penitenze, vigilie e digiuni, devotissimo del culto divino fino alla decrepitezza, senza lasciare mai il Coro di notte e di giorno. Lorenzo tenne Cattedra in diversi Conventi, e fu Predicatore efficacissimo. In Pistoia e in Fabriano estinse odi inveterati e quando quelle terre furono colpite dalla peste, incurante del contagio, fu infaticabile nell’assistere i colpiti. Negli anni di vita sopportò con edificante pazienza una orribile piaga ad una gamba. Mori dopo sessant’anni di vita regolare, il 27 settembre 1456 a Pistoia. Il suo corpo si venera nella cittadina chiesa dei Domenicani. Papa Pio IX il 4 aprile 1851 ha confermato il culto.
|
* BEATO GIUSEPPE TONIOLO (festa 4 SETTEMBRE)
Beato Giuseppe Toniolo Sociologo
|
Treviso, 7 marzo 1845 – Pisa, 7 ottobre 1918
|
Professore di economia politica, fu uno dei maggiori ideologi della politica dei cattolici italiani e uno degli artefici del loro inserimento nella vita pubblica.
Giuseppe Toniolo nacque a Treviso il 7 marzo 1845; si laureò in giurisprudenza a Padova nel 1867, rimase nello stesso Ateneo in qualità di assistente, sino al 1872, trasferendosi successivamente prima a Venezia, dove insegnò Economia Politica, poi a Modena e infine a Pisa, quale docente universitario ordinario, incarico che occupò fino alla sua morte avvenuta nel 1918. È necessario dare uno sguardo alla società politica in cui si trovò ad operare; dopo la Rivoluzione Francese ed il periodo napoleonico, che avevano sconvolto la Francia e l’intera Europa e dopo il Congresso di Vienna del 1815, si auspicò un ritorno all’antico legame fra la Chiesa e la società civile, che l’Illuminismo aveva incominciato a distinguere. Ma il potere civile, sostenuto dalle dottrine della sovranità nazionale, diventava sempre più autonomo dalla vita religiosa; verso la metà del secolo, il filosofo danese Soren Kirkegaard (1813-1855), ritenendo ancora possibile la cristianità, notò che questa aveva abolito il cristianesimo senza accorgersene, quindi bisognava operare affinché il cristianesimo venisse reintrodotto nella cristianità. Il mutato rapporto fra autorità civile e autorità religiosa, spinse molti cattolici di vari Paesi d’Europa, ad organizzarsi in movimenti di attiva opposizione alla nuova realtà politica e il 20 e 21 agosto 1863, fu organizzato a Malines in Belgio, il primo Congresso Cattolico Internazionale, al quale parteciparono le varie Associazioni sorte in Europa, tranne l’Italia rappresentata solo da quattro laici e due monsignori. Questo perché in Italia tutto fu complicato dalla “Questione Romana”, e in particolare dal potere temporale del papato su una parte del territorio italiano, rivendicato dal Regno d’Italia costituitosi nel 1862; creando così una frattura nella coscienza di molti cattolici. I laici italiani erano aggregati in associazioni limitate alle plurisecolari confraternite, con scopi di una particolare devozione religiosa, mutuo aiuto fra soci e attuando opere di carità. Ormai era tempo di un nuovo associazionismo cattolico e nel 1867 in occasione del terzo Congresso di Malines, la prestigiosa rivista gesuita “La Civiltà Cattolica”, incitò i cattolici italiani, a formare associazioni, coalizioni, congressi, perché “questi mezzi sono, posto lo stato presente della società, efficacissimi”, non si poteva lasciarli agli avversari del cattolicesimo che se ne avvalevano contro. E già il 29 giugno 1867, sorse la “Società della Gioventù Cattolica Italiana”, primo nucleo della successiva “Azione Cattolica Italiana”; intanto gli eventi politici precipitarono con la breccia di Porta Pia a Roma del 29 settembre 1870, la protesta di papa Pio IX che si chiuse in Vaticano; poi nel 1871 l’Italia emise le Leggi delle Guarentigie che assicuravano gli onori sovrani al pontefice e il godimento del Vaticano; nel luglio 1871 Roma divenne capitale d’Italia. L’11 ottobre 1874 i contrasti non erano per niente finiti e il papa con il “non expedit”, vietò ai cattolici di candidarsi o di recarsi alle urne, trasformato nel divieto assoluto (non licet) del 29 gennaio 1877. Dopo l’Azione Cattolica, sorsero in Italia una miriade di società, pie unioni, circoli, opere sociali, con una conseguente dispersione di energie, che resero necessaria la costituzione di un organismo coordinatore nel rispetto delle singole autonomie. Il 26 settembre 1875, durante il secondo Congresso generale dei cattolici italiani, si creò l’”Opera dei Congressi e dei Comitati cattolici”, il cui primo Presidente fu Giovanni Acquaderni, fondatore con il conte Mario Fani, dell’Azione Cattolica. Nella scia di questa Organizzazione, il 29 dicembre 1889 durante un convegno a Padova, venne costituita l’”Unione cattolica per gli studi sociali”, il cui presidente e fondatore fu il professor Giuseppe Toniolo, il quale nel 1893, la dotò del periodico “Rivista internazionale di scienze sociali e discipline ausiliarie”. Ormai si era in un periodo pieno di fermenti politici, religiosi e culturali; il pensiero marxista spostava l’attenzione sulle condizioni delle masse proletarie, denunciandone le disagiate condizioni di vita e di lavoro, inoltre in campo economico, le idee di utilitarismo e di liberismo economico, sostenevano dannoso per la stabilità, qualunque intervento che potesse influire sull’azione delle componenti macroeconomiche; senza dimenticare che era il periodo della famosa enciclica sociale “Rerum Novarum” di papa Leone XIII, con la quale la Chiesa prendeva ufficialmente posizione in merito alla situazione operaia di quel tempo. Giuseppe Toniolo, elaborò così una sua teoria, personale, sociologica, affermante il prevalere dell’etica e dello spirito cristiano sulle dure leggi dell’economia. Propose una soluzione del problema sociale, che rifiutava sia l’“individualismo” del sistema capitalistico, che il “collettivismo” esasperato, propagato dal socialismo, attraverso la costituzione di corporazioni di padroni e lavoratori, riconosciute dallo Stato. Nei suoi numerosi scritti, il Toniolo propose varie soluzioni: il riposo festivo, la limitazione delle ore lavorative, la difesa della piccola proprietà, la tutela del lavoro delle donne e dei ragazzi. Dal punto di vista religioso, Giuseppe Toniolo fu fautore di unazione più decisa dei cattolici in campo sociale, al fine di una loro determinante partecipazione all’evoluzione storica di quegli anni, da qui le sue tante fondazioni. Dal 1894 divenne uno degli animatori del movimento della “democrazia cristiana”, le cui basi furono esposte nel cosiddetto ‘programma di Milano’, con principi e proposte per il rinnovamento in senso cristiano della società. Nel 1897 l’Opera dei Congressi, controllava 588 Casse Rurali, 668 Società Operaie, 708 Sezioni di giovani, una forza consistente, alla cui ombra sorgevano e si sviluppavano molte iniziative di forte impegno sociale. Fondandosi sui suoi studi di storia economica medioevale della Toscana, oppose ai marxisti l’importanza dei fattori etici e spirituali sullo sviluppo dell’economia e difese il valore economico-sociale della religione, conciliando così fede e scienza. Nel 1908 pubblicò il “trattato di economia sociale”, opera fondamentale per l’incidenza che ebbe sul nuovo movimento sociale cattolico italiano all’inizio del Novecento, che ben presto, sviluppò il sindacalismo cattolico (detto ‘bianco’ per distinguerlo da quello diretto da ‘rossi’); i cattolici dopo la sospensione del “non expedit” parteciperanno in massa alle lezioni del 1913, ottenendo per la prima volta dopo l’Unità d’Italia, una ventina di deputati cattolici. Oltre alla sua opera fondamentale già citata, Toniolo scrisse: “La democrazia cristiana” (1900); “Il socialismo nella storia della civiltà“ (1902); “L’odierno problema sociologico” (1905); “L’unione popolare tra i cattolici d’Italia” (1908). Degno sposo e padre di famiglia, professore emerito e apprezzato nell’Università, dirigente e fondatore di opere sociali, scrittore fecondo di economia e sociologia, cristiano tutto d’un pezzo e fedele alla Chiesa, stimato dai pontefici del suo tempo, amico e consigliere del Beato Bartolo Longo, nella fondazione del Santuario e opere annesse di Pompei; morì fra il cordoglio generale, il 7 ottobre 1918 a Pisa. Il 7 gennaio 1951 fu introdotta la Causa per la sua beatificazione e il 14 giugno 1971 fu emesso il decreto sulle sue virtù con il titolo di ‘venerabile’. E' stato beatificato a Roma, Basilica San Paolo Fuori le mura, il 29 aprile 2012. La sua memoria liturgica è stata fissata al 4 settembre, giorno del matrimonio. |
* BEATO GIOVANNI DELLA PACE ( CINI DA PISA ) (festa 12 o 19 novembre?)
Beato Giovanni della Pace (Cini da Pisa) Eremita, fondatore
|
Pisa, 1270 ca. – 1335 ca.
Martirologio Romano: A Pisa, beato Giovanni Cini, detto della Pace, che dal servizio militare passò a quello di Dio nel Terz’Ordine di San Francesco.
|
Peccato che il suo ricordo non è più vivo a Pisa come meriterebbe, essendo una bella figura del XIV secolo pisano e che certamente nel suo tempo, destò molto interesse fra i cattolici e fra i cittadini in genere.
Giovanni Cini nacque a Pisa verso il 1270, fu soldato della Repubblica Pisana, ma la sua condotta non fu proprio edificante. Turbolento per natura e per partito preso, partecipò l’8 ottobre 1296 ad un vile attentato contro Matteo, arcivescovo eletto della diocesi di Pisa. Questo crimine fu punito con il carcere, ma provvidenzialmente fu anche la causa remota della sua conversione. Scontata la pena si diede a vita penitente e vestì l’abito del Terz’Ordine Francescano. Dal 1305 in poi, fu più volte eletto presidente della “Pia Casa della Misericordia”, istituita per la carità al popolo più povero; a lui si deve la diffusione della pratica di portare l’elemosina di notte (cibo, vestiario, denaro) a coloro che si vergognavano di riceverla pubblicamente. In seguito Giovanni Cini si diede a vita eremitica presso la Porta della Pace di Pisa, per questo è chiamato di solito “Giovanni della Pace”; il suo esempio attrasse molte persone specie giovani, desiderose di imitarlo; allora Giovanni fondò la Congregazione degli “Eremiti Terziari Francescani” detti ‘Fraticelli’, da tempo estinta. Fece rifiorire la vita religiosa nel romitorio di S. Maria della Sambuca e gli viene attribuita la fondazione della “Compagnia dei disciplinanti di S. Giovanni Evangelista”, la cui chiesa era situata presso la Porta della Pace. Qui Giovanni Cini trascorse gli ultimi anni della sua vita, murato in una piccola cella e ricevendo la Comunione e il poco cibo in elemosina, attraverso una piccola finestra e in questa cella morì nel 1335 ca. Fino al 1856 era sepolto nel Cimitero Monumentale di Pisa in una tomba decorata da affreschi; da quell’anno le sue reliquie furono traslate nella Chiesa dei Conventuali di Pisa. Un anno dopo, il 10 settembre 1857, papa Pio IX approvò il culto antico di Giovanni della Pace e il titolo di Beato. La sua celebrazione liturgica è al 12 novembre. |
* BEATO UGO DA FAGIANO
Ugo da Fagiano
Ugo da Fagiano
Il beato Ugo da Fagiano, che svolse un ruolo di primo piano nella Chiesa del secolo XIII. Nato verso la fine del secolo XII da famiglia di umili origini a Fagiano, un villaggio oggi scomparso che si trovava a est di Pisa, rivelò fin da giovane notevoli capacità intellettuali. Dopo un breve periodo di formazione presso il parroco del suo paese, si recò a studiare all'Università di Bologna. Nel secondo quarto del secolo XIII fu canonico a Pisa, quindi fu chiamato a Roma e successivamente si recò a Rouen, dove divenne arcidiacono, e a Parigi. Al seguito del re Luigi IX raggiunse l'Egitto e da lì Cipro, dove abbandonò la vita secolare per entrare in una comunità di canonici regolari. Nel 1251 fu nominato vescovo di Nicosia (Cipro) da Innocenzo IV, carica che mantenne fino al 1260-63, quando vi rinunciò per motivi di salute. Dopo gli studi compiuti in Francia, divenne vescovo di Nicosia di Cipro. Tornato a Pisa, fondò il convento di S.Agostino presso Calci, in una località che, in memoria della diocesi di cui era stato vescovo, chiamò Nicosia. Morì poco dopo il 1267, il 28 agosto, e fu sepolto nella chiesa da lui fondata. Non vi sono notizie certe sul culto liturgico al di fuori della canonica di Nicosia, ma lafama sanctitatis di Ugo è attestata da un sermone che l’arcivescovo di Pisa Federico Visconti pronunciò in sua memoria, ricordandone l’opera e la santità.
Tratto da: G. Zaccagnini, I santi nuovi della devozione pisana nell’età comunale (secoli XII–XV), in Profili istituzionali della santità medievale. Culti importati, culti esportati e culti autoctoni nella Toscana Occidentale e nella circolazione mediterranea ed europea, a c. di C. Alzati e G. Rossetti, Pisa 2008 (= Piccola Biblioteca GISEM, 24), pp. 289–316 (pp.300-301)
* PERPETUA DA BUTI
Perpetua da Buti
Perpetua da Buti
Di Perpetua sappiamo solo che fu conversa nel monastero domenicano di S. Marta. Non conosciamo né la data di morte né il periodo in cui visse: il termine post quem è il 1342, anno della fondazione di quel monastero. Di nessun aiuto può essere una Vita di cui, secondo il Sainati, esisteva un antico manoscritto presso le monache di S. Marta fino a tutto il secolo XVII, ma che attualmente è nota solo grazia alla trascrizione eseguita dalla monaca Francesca Frosini nel 1780 e depositata nell’archivio della Pieve di Buti. Secondo questa Vita, Perpetua nacque a Buti da famiglia contadina. A seguito di una visione, in cui san Domenico la invitava a entrare nel suo Ordine, si recò nel monastero pisano di S. Marta, chiedendo di essere accolta come conversa. Subito si distinse per le sue virtù, ma avendo la mente costantemente rivolta a Dio appariva spesso alle monache distratta e maldestra nei compiti che le venivano affidati, al punto che cominciarono a deriderla, ritenendola pazza. Perpetua non se ne preoccupò, offrendo a Dio, per penitenza, le umiliazioni ricevute. Un giorno, mentre le monache erano in refettorio, si trattenne in coro, per pregare davanti al Crocifisso: subito fu rapita in estasi e, contemplando il mistero della passione di Cristo, rese lo spirito. La sua santità fu rivelata da due eventi miracolosi: le campane cominciarono a suonare da sole e, poco dopo, le monache udirono una voce proveniente dal Crocifisso che annunciava l’ingresso in Paradiso dell’anima di Perpetua. Come si vede il testo è più che generico e si snoda fra luoghi comuni senza fornire alcuna vera informazione biografica. Evidentemente in questo modo l'Autore cercava di nascondere la totale mancanza di informazioni sulla figura storica. Il corpo di Perpetua, sepolto nella chiesa di S. Marta, sotto l’altar maggiore, fu traslato nel 1789 in una cappella laterale. La festa veniva celebrata la prima domenica di luglio. Una ricognizione fu effettuata nel 1857 dall’arcivescovo di Pisa, card. Corsi; in quella occasione una reliquia fu inviata alla Pieve di Buti, dove recentemente è stato traslato l’intero corpo. La festa è stata fissata all’ultima domenica di settembre
Tratto da: G. Zaccagnini, I santi nuovi della devozione pisana nell’età comunale (secoli XII–XV), in Profili istituzionali della santità medievale. Culti importati, culti esportati e culti autoctoni nella Toscana Occidentale e nella circolazione mediterranea ed europea, a c. di C. Alzati e G. Rossetti, Pisa 2008 (= Piccola Biblioteca GISEM, 24), pp. 289–316 (pp.312-313)
Beata Perpetua da Buti
BEATA PERPETUA DA BUTI (conversa domenicana).
Nata a Buti (?); morta a Pisa 1436.
Nacque nel castello di Buti da genitori poveri di beni terreni ma ricchi di timor di Dio.
Giunta ad età competente volle chiudersi nei recinti di un chiostro e mentre un giorno intensamente pregava ebbe la visione del Patriarca san Domenico in atto di invitarla ad aggregarsi al suo istituto.
I genitori allora la condussero a Pisa nel monastero domenicano di santa Marta fondato dal padre domenicano Domenico Cavalca dove fu accolta come Conversa.
Giunta ad età competente volle chiudersi nei recinti di un chiostro e mentre un giorno intensamente pregava ebbe la visione del Patriarca san Domenico in atto di invitarla ad aggregarsi al suo istituto.
I genitori allora la condussero a Pisa nel monastero domenicano di santa Marta fondato dal padre domenicano Domenico Cavalca dove fu accolta come Conversa.
Dopo il periodo di noviziato fu ammessa con pieni voti alla professione monastica. Essa teneva continuamente la mente ed il cuore rivolti a Gesù Crocifisso tanto che appariva quasi che le sue facoltà mentali si fossero alterate. Per questo motivo reputata pazza ebbecontinuamente dalle sue consorelle derisioni, motteggi e disprezzi ai quali sempre corrispose con atti di umiltà.
“ Un giorno, avendo ella fatto la Comunione con straordinario fervore se ne stava in coro davanti al crocifisso mentre tutte le altre monache erano andate a desinare. Nel meditare le pene atrocissime dell’appassionato Suo Bene concepì verso di lui un amore il più ardente; del quale amore crescendo a dismisura la fiamma, essa rimase soffocata e morì per puro eccesso di carità”.
Suonarono in quell’istante le campane di santa Marta. Le consorelle corsero al campanile per rimproverarla ma con sommo stupore videro che le campane suonavano senza che la forza umana muovesse le funi.Le monache trovarono il corpo di Perpetua ai piedi del crocifisso e udirono una voce che partì dallo stesso crocifisso che diceva: “Perpetua è meco in paradiso”.
“ Un giorno, avendo ella fatto la Comunione con straordinario fervore se ne stava in coro davanti al crocifisso mentre tutte le altre monache erano andate a desinare. Nel meditare le pene atrocissime dell’appassionato Suo Bene concepì verso di lui un amore il più ardente; del quale amore crescendo a dismisura la fiamma, essa rimase soffocata e morì per puro eccesso di carità”.
Suonarono in quell’istante le campane di santa Marta. Le consorelle corsero al campanile per rimproverarla ma con sommo stupore videro che le campane suonavano senza che la forza umana muovesse le funi.Le monache trovarono il corpo di Perpetua ai piedi del crocifisso e udirono una voce che partì dallo stesso crocifisso che diceva: “Perpetua è meco in paradiso”.
Fu sepolta in un luogo distinto e nel tempo crescendo la venerazione verso di lei fu collocato il corpo sotto l’altare che le monache avevano nel loro coro. Qui riposarono le preziose reliquie fino al 1789 anno in cui fu soppresso il monastero. Dopo furono traslate nella chiesa di santa Marta e poste sotto l’altare della cappella sulla destra di chi entra nella chiesa.
Ogni anno si faceva una festa in suo onore la prima domenica di luglio.
Ogni anno si faceva una festa in suo onore la prima domenica di luglio.
Esistono numerose immagini antiche e moderne che rappresentano Perpetua con gli emblemi della beatitudine.
Parlano poi di lei come di beata gli scrittori pisani come il Cardosi e il Solvetti.
Nel 1857 il cardinale arcivescovo Corsi (o Mons. Ranieri Alliata) fece preparare una nuova urna perché la precedente era rovinata e in quell’occasione una piccola reliquia della Beata fu donata in una teca d’argento alla pieve di Buti.
Parlano poi di lei come di beata gli scrittori pisani come il Cardosi e il Solvetti.
Nel 1857 il cardinale arcivescovo Corsi (o Mons. Ranieri Alliata) fece preparare una nuova urna perché la precedente era rovinata e in quell’occasione una piccola reliquia della Beata fu donata in una teca d’argento alla pieve di Buti.
Nel 1993 fu poi traslata l’urla con tutte le ossa della Beata nella chiesa Pievania di Buti.
Nell’ottobre del 1999 a seguito di un furto di numerose reliquie fu rubata anche la prima piccola reliquia donata dall’arcivescovo.
Nell’ottobre del 1999 a seguito di un furto di numerose reliquie fu rubata anche la prima piccola reliquia donata dall’arcivescovo.
* BEATO EUGENIO III PAPA
Beato Eugenio III Papa
| |
XII secolo - m. 1153
(Papa dal 18/02/1145 al 08/07/1153)
Entrò nell'ordine cistercense e, eletto papa, si prefisse di restaurare l'autorità pontificia minacciata da Arnaldo da Brescia, di difendere la Chiesa contro la minaccia dei Turchi, di riformare la Chiesa e la curia romana. Egli stesso diede esempio di una spiritualità in cui l'austerità della vita monastica si conciliava con la carica di pontefice.
Etimologia: Eugenio = ben nato, di nobile stirpe, dal greco
Martirologio Romano: A Tivoli nel Lazio, transito del beato Eugenio III, papa, che fu diletto discepolo di san Bernardo; dopo aver retto da abate il monastero dei Santi Vincenzo e Anastasio alle Acque Salvie, eletto alla sede di Roma, si adoperò con impegno per difendere il popolo cristiano dell’Urbe dalle insidie dell’eresia e rinnovare la disciplina ecclesiastica.
| |
S. Bernardo così scriveva ai cardinali dopo l'elezione Eugenio III, monaco del suo Ordine: "La sua tenera verecondia è avvezza più al ritiro alla quiete che alla trattazione delle cose esteriori ed è da temere che non sappia compiere gli uffici del suo apostolato con la necessaria autorità". Il timore che il mite pontefice (Pier Bernardo, nato da nobile famiglia a Montemagno, presso Pisa, e entrato nell'ordine cistercense dopo l'incontro con S. Bernardo nel 1138) non fosse all'altezza della situazione era condivisa da molti. Ma il Signore - scrive il card. Bosone, suo contemporaneo e biografo - gli concesse tale scienza e facondia, tale liberalità e forza nell'amministrazione della giustizia che superò in attività e fama molti suoi antecessori.
Eugenio III resse la Chiesa otto anni e cinque mesi (1145 1153) in un periodo assai difficile. Dopo l'elezione dovette fuggire nottetempo da Roma per farsi incoronare, il 18 febbraio nel monastero di Farfa, sottraendosi così alle intimidazioni del popolo che, sobillato da agitatori come Arnaldo da Brescia, reclamava per Roma le libere istituzioni comunali con elezione diretta dei senatori. Invitato da S. Bernardo, si prese a cuore la riforma della Chiesa e della curia romana; si adoperò per la difesa della cristianità contro la minaccia dei Turchi, promuovendo una crociata; presiedette a quattro concili (Parigi, Treviri, Reims e Cremona), promosse gli studi ecclesiastici, difese l'ortodossia, ed egli stesso seppe conciliare l'austerità della vita monastica con le esigenze della dignità papale. Alla sua morte, avvenuta a Tivoli l'8 luglio 1153, il card. Ugo, vescovo di Ostia, così scriveva: "Immacolato emigrò dalla carne sua a Cristo". |
* SAN LINO DA VOLTERRA PAPA 67-76 D.C. (festa 23 settembre)
E' il 2° Papa della storia ,successore di S.Pietro.Si trovava a Roma per studio, ascolta la predicazione del Vangelo e diventa un fervido cristiano e quindi sacerdote. Quando S.Pietro va a Gerusalemme per il 1° concilio, è suo vicario a Roma. Poi ,alla sua morte, gli succede, nei difficilissimi momenti per il cristianesimo con le persecuzioni dell'imperatore Nerone a Roma e con la guerra in Giudea e la distruzione del Tempio di Gerusalemme 70D.C. Approfondisci.. /// LEGGI ANCORA..
Lino (Volterra ?, ... – Roma ?, 23 settembre 79) fu il primo successore di Pietro e quindi il 2° vescovo di Roma e papa della Chiesa cattolica tra il 64/68 e il 76/79. È venerato come santo dalla Chiesa cattolica e dalle Chiese ortodosse. È stato il primo papaeuropeo.
Indice
[nascondi]Biografia[modifica | modifica sorgente]
Sulla vita di papa Lino si hanno poche notizie certe. Il Liber Pontificalis afferma che Lino era originario della Tuscia, e che il nome di suo padre era Herculanus; ma non è possibile verificare l'origine di questa asserzione.
L'erudito volterrano Raffaello Maffei, sulla base di uno scritto da lui letto ma del quale non dà altro riferimento, identificò la città natale di Lino in Volterra: nel 1480: sul luogo in cui egli ritenne che sorgesse la casa paterna del pontefice, volle edificare una chiesa con annesso un monastero femminile.
Trasferitosi a Roma per ragioni di studio, si convertì presto al Cristianesimo. Nell'Urbe conobbe anche Paolo di Tarso che sembra accennasse a lui nella seconda lettera a Timoteo: «Ti salutano Tubulo, Pudente, Lino, Claudia e tutti i fratelli». A Roma avrebbe sostituito Pietro apostolo nei periodi della sua assenza dalla città, pur essendo il vescovo e predicatore ufficiale nella città diBesanzone, in Gallia[1].
Sempre secondo il Liber Pontificalis, sembra che, "in conformità con quanto disposto da San Pietro", Lino abbia prescritto alle donne di entrare in chiesa con il capo coperto e senza dubbio questa prescrizione è dovuta a chiari insegnamenti Biblici come nella Prima lettera ai Corinzi [2]. Di fatto, la prescrizione è rimasta in vigore fino al XX secolo. Lino introdusse nel canone della messa la parte detta Comunicantes (anch'essa eliminata solo dalla riforma liturgica operata dal Concilio Vaticano II) e aggiunse alla veste, come simbolo dell'autorità papale, il pallio, una striscia di lana bianca a croci nere, tuttora in uso.
Durante il suo pontificato, sotto il quale si successero cinque imperatori (Nerone, Servio Sulpicio Galba, Otone, Vitellio e Tito Flavio Vespasiano), Lino ebbe a che fare -contrastandola- con la scuola di Simon Mago, continuata dal discepolo Menandro, e con gli Ebioniti, giudeo-cristiani che praticavano l'osservanza della legge mosaica.
Inquadramento storico[modifica | modifica sorgente]
L'avvenimento più importante verificatosi durante il suo pontificato fu certamente la conclusione della guerra giudaica con la distruzione, da parte dei romani, della città e delTempio di Gerusalemme, nel 70. Oltre che per la portata storica, l'avvenimento assunse una notevole rilevanza anche per altri aspetti di "politica cristiana". La distruzione diGerusalemme era innanzi tutto la conferma della profezia di Gesù che aveva annunciato che del Tempio non sarebbe rimasta pietra su pietra, ed era quindi anche un indizio della prossima fine del mondo e del conseguente avvento del Regno di Dio. In molti[3] leggevano però nell'avvenimento anche la vendetta sugli Ebrei per la loro diretta responsabilità nella morte del Cristo (benché necessaria per la redenzione). Si andava cioè già affermando quella convinzione, sopravvissuta fino al Concilio Vaticano II, che considerava gli Ebrei rei di deicidio[4].
Ma l'avvenimento, epilogo della rivolta giudaica del 66, offrì anche ai Cristiani l'occasione per una spregiudicata mossa politica. Gli Ebrei infatti, per la loro rivolta, erano caduti decisamente in disgrazia agli occhi dell'opinione pubblica romana; ne approfittarono immediatamente i Cristiani[5] per marcare la differenza con i Giudei, dissociandosi da loro e soprattutto, con l'occasione, dagli Ebioniti, condannandoli e screditandoli agli occhi del potere costituito: si trattò, probabilmente, del primo successo politico messo a segno dalla società cristiana a proprio vantaggio[6].
Morte e sepoltura[modifica | modifica sorgente]
Il Liber Pontificalis sostiene che Lino sarebbe stato martirizzato il 23 settembre del 76, mediante decapitazione, per decreto del console Saturnino, ma il fatto sembra privo di fondamento, dal momento che in quel periodo non si ha notizia di persecuzioni contro i cristiani. Inoltre, Ireneo di Lione indicò come martire fra i primi vescovi romani solamenteTelesforo.
Il Liber Pontificalis riferisce anche che Lino, dopo la sua morte, fu seppellito sul Colle Vaticano, accanto all'apostolo Pietro. Non si sa se l'autore avesse qualche prova decisiva a supporto di questa affermazione però, come Pietro fu certamente sepolto ai piedi del Colle Vaticano, è lecito supporre che anche i primi vescovi della Chiesa romana furono inumati in quella zona. Secondo Torrigio[7], quando in San Pietro fu costruito l'attuale altare della confessione (nel 1615), furono rinvenuti dei sarcofagi, tra i quali ve ne era uno con su scritta la parola Linus. La spiegazione data dal Severano di questa scoperta[8] fu che, probabilmente, tali sarcofagi contenevano i resti dei primi vescovi di Roma, e che quello con l'iscrizione era il luogo di sepoltura di papa Lino. L'ipotesi fu accettata, in seguito, da diversi autori, ma da un manoscritto del Torrigio si evince che sul sarcofago in questione c'erano altre lettere accanto alla parola Linus, così che il nome poteva essere un altro (come Aquilinus, Anullinus, ecc.).
Il titolo "papa"[modifica | modifica sorgente]
Tutti gli antichi elenchi dei vescovi di Roma, che si sono conservati grazie a Ireneo di Lione, Giulio Africano, Ippolito di Roma, Eusebio di Cesarea ed il Catalogo Liberiano del354, posizionano il nome di Lino immediatamente dopo quello di Pietro. Questi elenchi furono redatti a posteriori basandosi su una lista dei vescovi romani che esisteva al tempo di papa Eleuterio (approssimativamente tra il 174 e il 189). Secondo Ireneo, papa Lino è il Lino menzionato da Paolo di Tarso nella sua già citata seconda lettera a Timoteo [9]. Il brano di Ireneo (Adversus haereses, III, III 3) recita:
« Dopo che gli apostoli Pietro e Paolo fondarono ed organizzarono la Chiesa [a Roma], essi conferirono l'esercizio dell'ufficio episcopale a Lino. » |
Naturalmente, non si può sapere se questa identificazione del papa come il Lino menzionato nella lettera paolina risalga ad una fonte antica ed affidabile, o si sia originata più tardi grazie alla somiglianza del nome.
L'ufficio di Lino, secondo gli elenchi papali che ci sono pervenuti, durò circa dodici anni. Il Catalogo Liberiano afferma che durò, per l'esattezza, dodici anni, quattro mesi, e dodici giorni, ma le date fornite da questo catalogo, dal 56 al 67, non sono probabilmente corrette. Forse proprio tenendone conto gli scrittori del IV secolo sostenevano che Lino era stato a capo della comunità romana durante la vita dell'apostolo, ma si tratta di un'ipotesi senza alcun fondamento storico. In base ai calcoli di Ireneo sulla Chiesa romana nel II secolo, è fuori dubbio che Lino sia stato scelto come guida della comunità cristiana di Roma solo dopo la morte di Pietro. Per questa ragione il suo pontificato si fa iniziare nell'anno della morte degli apostoli Pietro e Paolo.
Culto[modifica | modifica sorgente]
I latini celebrano sua memoria liturgica il 23 settembre. Le Chiese ortodosse, invece, lo ricordano il 4 novembre.
San Lino Papa e martire
| |
Volterra - Roma, secolo I
(Papa dal 67 c. al 76 c.).
Fu scelto da San Pietro quale suo successore come vescovo di Roma, dove esercitò il suo ministero per undici anni o dodici anni a seconda delle fonti. Su di lui non sia hanno grandi informazioni. S. Ireneo, vescovo di Lione, c'è lasciato una testimonianza attendibile sui primi dodici vescovi fra cui figura Lino, identificato come la persona di cui parla San Paolo nella seconda lettera a Timoteo. Secondo il Liber Pontificalis sarebbe stato di origine toscana mentre secondo tradizioni più tarde, avrebbe studiato a Volterra e sarebbe stato inviato a Roma per i suoi studi. Li avrebbe incontrato Pietro da cui sarebbe stato convertito. Gli sono attribuiti gli Atti apocrifi di San Pietro e Paolo e la Disputa con Simon Mago. Sarebbe morto martire sotto Domiziano.
Etimologia: Lino = accorc. di Angiolino, Michelino, ecc. ; anche nome a sé
Emblema: Palma
Martirologio Romano: A Roma, commemorazione di san Lino, papa, al quale, come scrive sant’Ireneo, i beati Apostoli affidarono la cura episcopale della Chiesa fondata a Roma e che san Paolo Apostolo ricorda come suo compagno.
| |
Dopo san Pietro c’è subito lui: Lino, secondo capo della Chiesa, primo papa italiano. Toscano d’origine, nato a Volterra: così dicono vari studiosi e il grande Cesare Baronio, lo storico cinquecentesco della Chiesa. A essi si unirà, il 24 settembre 1964 in San Pietro, Paolo VI, dicendo all’udienza generale: "Abbiamo con noi un gruppo di Volterra... La diocesi sorella... Sì, questo titolo le spetta, perché con san Lino ha dato alla Chiesa l’immediato successore di Pietro, il secondo papa".
Sappiamo poco di Lino. Ignoti gli anni di nascita e di morte, la gioventù e gli studi. Uno dei Padri della Chiesa, Ireneo di Lione (II secolo), dice che Pietro e Paolo affidarono a Lino responsabilità importanti, e che Paolo ha citato proprio lui nella seconda lettera a Timoteo: "Ti salutano Eubulo, Pudente, Lino, Claudia e tutti i fratelli...". Sappiamo però che Lino vive tempi terribili con i cristiani di Roma. Nell’estate del ’64 un incendio distrugge i tre quarti dell’Urbe, e se ne incolpa l’imperatore Nerone. Forse è una calunnia dei suoi molti nemici: ma lui reagisce col diversivo della persecuzione generale contro i cristiani. E a essi giunge l’incoraggiamento di san Pietro nella sua prima lettera: "Non vi sembri strana la prova del fuoco sorta contro di voi... anzi, rallegratevi per la parte che voi venite a prendere alle sofferenze di Cristo". Anche san Pietro muore in questa persecuzione (forse nel ’67) e gli succede Lino in tempo di delitto e di tragedia. Nerone muore nel ’68 (si fa trafiggere da un servo) e nello stesso anno c’è una strage di successori: Galba, sgozzato nel Foro; Ottone suicida; Vitellio linciato dai romani. Solo con Vespasiano, nel ’69, arrivano ordine e pace in Roma. Ma è scoppiata in Palestina la rivolta contro il dominio romano: la “guerra giudaica”, che finisce nel settembre ’70 con Gerusalemme occupata dalle truppe di Tito (figlio di Vespasiano) e col tempio profanato e distrutto: vicende laceranti per gli ebrei e anche per i cristiani e, per certuni, segnali di calamità universali imminenti, di una ben vicina fine del mondo. Lino è chiamato in questi suoi anni di pontificato (nove, si ritiene) a rianimare i fedeli, a orientarli nella confusione dottrinaria provocata dall’opera di gruppi settari. E’ lui quello che deve tenere unita la Chiesa sotto l’uragano: e comincia a delinearne la forma organizzata, la “struttura”: sappiamo per esempio che ha nominato vescovi e preti, e ha dato regole alla pratica comune della fede. (Si attribuisce a lui l’obbligo per le donne di partecipare alla celebrazione eucaristica col capo coperto). Sarà anche venerato come martire, a causa delle sofferenze durante la persecuzione neroniana; ma non è certo che sia stato ucciso, perché nel tempo della sua morte la Chiesa viveva in pace sotto il governo di Vespasiano. |
* SAN GUIDO DELLA GHERARDESCA
San Guido della Gherardesca Confessore
|
Pisa, 1060 - Pisa, 20 maggio 1140
Etimologia: Guido = istruito, dall'antico tedesco
Martirologio Romano: A Castagneto in Toscana, beato Guidone della Gherardesca, eremita.
|
Sul santo pisano non ci sono molte notizie. Le poche che sono disponibili lo presentano talvolta come monaco camaldolese in san Michele in Borgo (Pisa); per altri fu Terziario francescano. La Sacra Congregazione dei Riti preferì la lezione ricavata dai Bollandisti, che si servirono dell'Archivio della famiglia Gherardesca.
Napoleone Gherardesca fu, probabilmente, il padre di Guido e Pietro. Quest'ultimo venne creato successivamente cardinale da Pasquale II (1099-1118). La vita di Guido fu contrassegnata dalla preghiera, dalla meditazione, dal digiuno e dalla elemosina. Come spesso si riscontra anche nella vita degli altri santi pisani dei secoli XII-XIII, Guido fu ritenuto santo già in vita. Per non cadere nel peccato di orgoglio, decise così di allontanarsi dalla città. All'età di 40 anni lasciò dunque Pisa e visse in solitudine presso Donoratico. Là costruì un oratorio che dedicò a santa Maria alla Gloria, dove aspettò fra digiuni e preghiere di entrare nel Regno di Dio il 20 maggio 1140. Alla sua morte la venerazione per Guido della Gherardesca crebbe notevolmente. Nel 1212 fu concesso il trasferimento del corpo dall'oratorio, ormai troppo angusto per la folla dei fedeli, alla Chiesa di Donoratico. Un Breve di papa Callisto III (1455-1458) indirizzato all'Arcivescovo di Pisa Giuliano Ricci, autorizzò la traslazione del corpo del santo pisano. Venerdì 16 giugno 1459 i pisani poterono così accogliere con una grande festa uno dei santi, che segnarono la vita spirituale della città toscana. |
Nessun commento:
Posta un commento